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Pierre Rosanvallon - La legittimità democratica, Esquemas de História Contemporânea

Riassunti approfonditi del testo dello storico francese P. Rosanvallon.

Tipologia: Esquemas

2020

Compartilhado em 05/02/2020

Nikkeer
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Introduzione
1.1 Il passaggio dalla celebrazione del popolo (singolare) alla regola maggioritaria non è un procedimento
scontato dal momento che i due elementi non sono della stessa natura: da un lato vi è l’affermazione
di un soggetto, dall’altra di una procedura decisionale che, se ragionata dal punto di vista sociologico,
diviene procedura aritmetica, se ragionata in quanto procedura riguarda lo spirito. La giustificazione del
potere attraverso le urne è sempre passata attraverso l’idea di un rinvio alla volontà generale (popolo
come insieme della società) rafforzata dall’idea di uguaglianza dal punto di vista sociologico. Così è
l’unanimità a sottendersi nell’idea democratica, come se la volontà della maggioranza fosse valente per
tutti. All’unanimità si aggiunge una ulteriore finzione, l’idea che la natura di un regime permanga nelle
stesse condizioni della sua fondazione. Tuttavia, ben presto, all’avvento delle masse e al naturale
entusiasmo si è altresì affiancato il loro invischiarsi nel sistema clientelare e nel malaffare. Durante gli
anni che vanno dal 1890-1920 in quella che chiamano crisi della democrazia si è portato avanti una
naturale sfiducia per il mondo parlamentare governato dalla logica della particolarità.
1.2 In quegli anni che vanno dal 1890-20 emerge un elemento che modificherà l’assetto dei regimi
democratici: il potere amministrativo. Si è voluto che la macchina burocratica costruisse una forza tesa
a realizzare l’interesse generale. Per questo si sono affermate due tendenze: quella di lasciare che i
funzionari si identificassero con la loro missione e dall’altra un progressivo accesso alla generalità per
mezzo della ragione scientifica di stampo positivista. Così i regimi democratici si tenevano sul suffragio
universale e sulla macchina amministrativa, quest’ultima ha raggiunto una sempre più ampia
autonomia basata sulla competenza. Di fatti, a due tipi paralleli di prova simultaneamente sono stati
sottoposti gli interpreti della generalità sociale, quella della elezione in quanto scelta soggettiva e il
concorso in quanto scelta oggettiva in base alla competenza. Un’altra legittimità affiancata a quella
elettorale è quella di identificazione con la generalità sociale, come elemento compensatore della
legittimità elettorale. Quest’ultima ha iniziato a perdere valore a causa della desacralizzazione della
funzione stessa dell’elezione e per il ridimensionamento di questa stessa (ora non fa nient’altro che
accettare il modello proposto dai governanti). Inoltre, anche la nozione di maggioranza è cambiata; in
senso sociologico è mutato se pensiamo che il popolo non è più espressione della maggioranza ma è
espressione di storie singolari e, ad essere ancora più radicali, è espressione della minoranza. D’altra
parte anche lo stesso potere amministrativo ha perso rispettabilità perché sostituito dal mercato (in
quanto istitutore del benessere collettivo).
1.3 Negli anni ’80 del novecento si segna una svolta e una riformulazione dei termini entro cui si concepisce
la generalità sociale. Il suffragio universale si basava su una definizione aggregativa, mentre il servizio
pubblico su una generalità oggettiva per cui la ragione pubblica si identifica con le strutture dello Stato.
Dalla frantumazione di questi due modi, ne emergono tre maniere di gestire la generalità sociale:
La generalità realizzata attraverso l’allontanamento dalla particolarità (potere come posto
vuoto) e dunque una generalità negativa
;
La generalità per mezzo di un lavoro di pluralizzazione delle espressioni di sovranità e dunque
avremo una generalità di moltiplicazione
;
La generalità attraverso il riconoscimento di tutte le singolarità sociali prendendosi carico della
totalità delle situazioni esistenti (agli antipodi di una visione nomocratica). E’ il caso di una
generalità di attenzione alla particolarità.
Tutte e tre sono basate su un approccio né aritmetico né monistico, ma guardano in maniera più dinamica e
si identificano a tre modi di intendere la legittimità: di imparzialità, di riflessività, di prossimità. Questi tre
direttrici rappresentano il decentramento della democrazia e lasciano intravedere una vita altra oltre la
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Introduzione

1.1 Il passaggio dalla celebrazione del popolo (singolare) alla regola maggioritaria non è un procedimento scontato dal momento che i due elementi non sono della stessa natura: da un lato vi è l’affermazione di un soggetto, dall’altra di una procedura decisionale che, se ragionata dal punto di vista sociologico, diviene procedura aritmetica, se ragionata in quanto procedura riguarda lo spirito. La giustificazione del potere attraverso le urne è sempre passata attraverso l’idea di un rinvio alla volontà generale (popolo come insieme della società) rafforzata dall’idea di uguaglianza dal punto di vista sociologico. Così è l’unanimità a sottendersi nell’idea democratica, come se la volontà della maggioranza fosse valente per tutti. All’unanimità si aggiunge una ulteriore finzione, l’idea che la natura di un regime permanga nelle stesse condizioni della sua fondazione. Tuttavia, ben presto, all’avvento delle masse e al naturale entusiasmo si è altresì affiancato il loro invischiarsi nel sistema clientelare e nel malaffare. Durante gli anni che vanno dal 1890-1920 in quella che chiamano crisi della democrazia si è portato avanti una naturale sfiducia per il mondo parlamentare governato dalla logica della particolarità. 1.2 In quegli anni che vanno dal 1890-20 emerge un elemento che modificherà l’assetto dei regimi democratici: il potere amministrativo. Si è voluto che la macchina burocratica costruisse una forza tesa a realizzare l’interesse generale. Per questo si sono affermate due tendenze: quella di lasciare che i funzionari si identificassero con la loro missione e dall’altra un progressivo accesso alla generalità per mezzo della ragione scientifica di stampo positivista. Così i regimi democratici si tenevano sul suffragio universale e sulla macchina amministrativa, quest’ultima ha raggiunto una sempre più ampia autonomia basata sulla competenza. Di fatti, a due tipi paralleli di prova simultaneamente sono stati sottoposti gli interpreti della generalità sociale, quella della elezione in quanto scelta soggettiva e il concorso in quanto scelta oggettiva in base alla competenza. Un’altra legittimità affiancata a quella elettorale è quella di identificazione con la generalità sociale, come elemento compensatore della legittimità elettorale. Quest’ultima ha iniziato a perdere valore a causa della desacralizzazione della funzione stessa dell’elezione e per il ridimensionamento di questa stessa (ora non fa nient’altro che accettare il modello proposto dai governanti). Inoltre, anche la nozione di maggioranza è cambiata; in senso sociologico è mutato se pensiamo che il popolo non è più espressione della maggioranza ma è espressione di storie singolari e, ad essere ancora più radicali, è espressione della minoranza. D’altra parte anche lo stesso potere amministrativo ha perso rispettabilità perché sostituito dal mercato (in quanto istitutore del benessere collettivo). 1.3 Negli anni ’80 del novecento si segna una svolta e una riformulazione dei termini entro cui si concepisce la generalità sociale. Il suffragio universale si basava su una definizione aggregativa, mentre il servizio pubblico su una generalità oggettiva per cui la ragione pubblica si identifica con le strutture dello Stato. Dalla frantumazione di questi due modi, ne emergono tre maniere di gestire la generalità sociale: ● La generalità realizzata attraverso l’allontanamento dalla particolarità (potere come posto vuoto) e dunque una generalità negativa ; ● La generalità per mezzo di un lavoro di pluralizzazione delle espressioni di sovranità e dunque avremo una generalità di moltiplicazione ; La generalità attraverso il riconoscimento di tutte le singolarità sociali prendendosi carico della totalità delle situazioni esistenti (agli antipodi di una visione nomocratica). E’ il caso di una generalità di attenzione alla particolarità.

Tutte e tre sono basate su un approccio né aritmetico né monistico, ma guardano in maniera più dinamica e si identificano a tre modi di intendere la legittimità: di imparzialità, di riflessività, di prossimità. Questi tre direttrici rappresentano il decentramento della democrazia e lasciano intravedere una vita altra oltre la

sfera elettorale-rappresentativa. Nel loro la cosa a legittimità non è acquisita una volta per tutte ma è precaria e continuamente messa in gioco. Tutte e tre possiedono, inoltre, un carattere ibrido e si sviluppano al di fuori del binomio tra generalità repubblica (interesse alla sostanza) e democrazia forte (interesse alla mobilità sociale), ma sono altresì fuori da una prospettiva proceduralista come quella di Habermas che è tendenzialmente legata ad una visione monista della sovranità. Al contrario, la prospettiva prima citata porta ad una pluralizzazione delle forme.

1.4 Le prime due figure di legittimità fanno riferimento a due tipi di istituzioni: le autorità di sorveglianza (beneficiano dell’imparzialità ) e le corti costituzionali (inquadrano la produzione legislativa). Queste ultime sono state marginalizzata dalla teoria democratica classica, ma entrambe hanno accresciuto il loro potere. Dagli anni ’80 si è assistito ad un mutamento che riguarda anche la terminologia politica: il termine autogestione, per esempio, fu coniato negli anni ’60. Tuttavia, questo mutamento non era stato teorizzato ma proveniva dalle circostanze e dalle esigenza del nuovo modo di gestire la cosa pubblica. Rispetto alle istituzioni (prima citate), queste non hanno trovato nemmeno modo di iscriversi nell’ordinamento democratico sebbene rappresentino uno strumento di riduzione della manovra dei governanti e il potenziale democratico può produrre benefici che ci si attendeva dalla democrazia diretta e che costituirebbero una democrazia indiretta in grado di correggere i deficit di quella rappresentativa. Rispetto alla legittimità di prossimità, invece, ci si riferisce a un insieme di attese sociali relative al comportamento dei governanti, laddove fino ad allora la sfera di indagine sulla democrazia si era limitata alla sola definizione delle regole. 1.5 Individuamo un doppio dualismo: da una parte le istituzioni elettorali-rappresentative, dall’altra quelle della procedura e la loro sovrapposizione creerebbe il nuovo ordine democratico contemporaneo. Si annodano, inoltre, due esigenze binomiche a quel dualismo: da una parte la tendenza pluralistica che si esplica nel generare il conflitto (presa di posizione) e d’altra parte lo risolve attraverso la creazione di un mondo comune. Di qui, per tenere vive le due esigenze, la divisione tra conflitto e consenso. La seconda esigenza, riguarda invece la separazione delle istituzioni che riguardano la decisione maggioritaria e quelle che riguardano l’unanimità. Questo lascia riconoscere che la democrazia si fondi sull’assimilazione della maggioranza all’unanimità. Tuttavia, questa finzione sembra non essere mai stata riconosciuta come tale, al contrario avviene per le finzioni del diritto (di per sé non nascondono nulla, anzi, servono a comprendere meglio). Emerge un ulteriore dualismo: quello della democrazia come governo. Si è sempre nascosta l’idea del governo dietro alla decisioni che questo stesso prendeva (così accadeva nella Francia rivoluzionaria), solo oggi possiamo considerare emergente la dimensione del potere esecutivo come dipanato in due dimensioni: di condotta dei governanti e quella puramente decisionale.

Capitolo 1

La voce del maggior numero obbliga sempre gli altri, ovvero la legittimità consegue la sua pienezza a patto che vi sia un consenso unanime da parte dei cittadini. E dato che ogni individuo in un regime democratico è portatore di diritti, il consenso unanime è garanzia del rispetto stesso di ciascun individuo. I regimi democratici utilizzano la maggiornanza come necessità procedurale in mancanza di una unanimità aritmetica. Tuttavia, restano ancorata ad una unanimità che in un certo qual modo è sostanziale.

Nelle città greche si celebrava la dea della concordia (Homonoia) e dunque in questi due mondi la partecipazione è adesione alle istituzioni. E dunque la rappresentanza si lega essenzialmente alla identificazione. Di qui il ruolo fondamentale dell’acclamazione popolare: lo troviamo, ad esempio, nella postulatio populi, a teatro nei rituali di unanimità e nella più semplice acclamazione popolare. Il valore

riguarderà essenzialmente una divisione territoriale ma sostanzialmente l’idea di una unità continuerà a perdurare. Perfino la Gran Bretagna, culla del pluralismo, la pratica elettorale è contrassegnata nei termini di una manifestazione di coesione della comunità. Allo stesso modo, riferimenti di questo tipo sono presenti nella tradizione africana delle palabre, nel mondo musulmano secondo la nozione di igma, in quello cinese e giapponese. Solo successivamente il suffragio ha assunto i connotati di una espressione della divisione sociale, tuttavia all’indomani della rivoluzione molti fanno riferimento all’idea originaria.

Tuttavia, durante il periodo di lotta per il suffragio universale, era largamente condivisa l’opinione che questo servisse a soddisfare i bisogni del maggior numero. Di fatti, gli argomenti a suo favore prevedevano che questo rappresentasse la panacea di tutti i mali e la possibilità di dare pane al popolo come se la possibilità del voto di tutti fosse condizione inestinguibile della buona politica a vantaggio dei più. Malgrado questo, la crisi della democrazia intesa non solo come conseguenza di una perturbazione ha conseguito un ritorno negli anni venti del novecento del fantasma dell’unanimità (in senso totalitario), ma è anche espressione della democrazia intesa in senso prudhoniano, quanto di una istituzione del potere amministrativo come fautore dell’interesse generale.

Capitolo II

Storicamente il potere amministrativo era una forma usurpativa se lo inquadriamo in un mondo in cui tutte le istituzioni si collegavano alla volontà popolare. Nel 1789 si voleva che il potere degli uffici (i quali essenzialmente svolgevano l’attuazione meccanica delle norme) fosse a sé stante e così, più radicalmente, per il potere esecutivo (come potere delegato, fino alla soppressione nel 1794). Questa sottomissione al politico venne tuttavia soppressa nel momento in cui si moltiplicarono le pratiche clientelari. L’adozione di criteri oggettivi di selezione per gli impiegati venne a lungo discusso, ma la paura che i ministri fossero indeboliti era più forte. Nel 1870 gli Stati uniti avanzarono il passo con il Pendleton Act con il quale introducevano il criterio di merito per alcuni funzionari. Mentre, soprattutto in Francia, nonostante le voci contrastanti il favoritismo, permaneva la tendenza a piazzare i loro candidati da parte dei deputati e ministri. Di conseguenza, questo modo di agire, favoriva sempre più le epurazioni degli ostili che rimanevano legittime agli occhi della maggioranza. Questa subordinazione al politico perde la sua efficacia nel momento in cui lo stato ha aumentato sempre più il suo volume, il parlamento il suo prestigio e l’antiparlamentarismo aveva preso piede e rotto il mito della legge come volontà generale, per questo motivo tre direttrici vengono esplorate: intensificazione del controllo dei cittadini sui loro rappresentanti (per esempio le primarie), l’iniziativa popolare referendaria e la possibilità di revoca degli eletti e, infine, la possibilità di un’ amministrazione autonoma e razionale. In questo senso una amministrazione forte è in grado di controllare le pressioni del potere politico e costituisce il corporativismo dell’universale.

Lo stato moderno secondo Duguit non può essere definito tanto una potenza che comanda (e se pure si potesse parlare di potenza questa riguarderebbe i servizi che uno stato è capace di offrire), quanto di una quanto una cooperazione di servizi pubblici organizzati. Il servizio pubblico indica le attività indispensabili allo sviluppo dell’interdipendenza sociale. La legge, dunque, non è più espressione della volontà generale ma dalla formalizzazione di quell’interesse sociale per cui la procedura elettorale perde la sua validità. Lo stato a cui Duguit aspira è quello di una federazione di servizi pubblici volti ad assicurare il bene comune; all’interno di questo stato il funzionario si identifica con la sua funzione, si parla di una autentica vocazione morale, e dunque sono essi stessi il regime (come nella terza repubblica). Parla, inoltre, di un decentramento dei servizi in cui ogni operatore qualificato svolge un tot numero di sevizi in una sorta di corporativismo dell’interesse generale, ovvero staccarli da ogni interesse particolare in modo da costruire un gruppo a parte. Il termine statuto assume la connotazione dell’insieme dei diritti e dei doveri dei

funzionari, importante perché secondo Hauriou il funzionario svolgerà tanto bene il suo lavoro quanto si sentirà protetto dalla legge (diviene un impiegato sui generis).

Mentre il corporativismo generale ha messo l’accento sui funzionari votati alla loro missione, il potere amministrativo oggettivo pone l’attenzione l’attenzione su un potere su cui la generalità è garantita dalla stessa forma. I due massimi teorici sono Wilson e Goodnow: Wilson ha come obiettivo quello di creare una scienza nuova, un governo pratico, poiché la democrazia non può ridursi alla stesura della costituzione ma riguarda in maniera più ampia la fissazione del quadro di regole di organizzazione. Goodnow, invece, sottolinea che il potere amministrativo è il vero esecutivo (rivisitando la classica teoria dei poteri). L’essenza dell’amministrazione risiede nell’efficacia e la razionalità (nel pantheon delle virtù democratiche) e il suo approccio alla generalità che è sostanziale, ovvero attenta ad escludere gli sviamenti della particolarità. Bisogna dunque far rivivere una democrazia oggettiva estranea alla faziosità. In questo senso l’opera di Taylor in quanto attenta alla razionalizzazione è prima ancora politica. E’ importante sottolineare la dimensione sociologica che ha reso fondamentale un potere amministrativo: l’ascesa di una classe media di specialisti e ha coinvolto a tutti i livelli la struttura organizzativa americana sia a livello federale che a livello locale (gli spogli sono più incisivo) di modo da estirpare il virus politico. L’introduzione del Government by commission è stata la prima tappa del movimento di riforma nel quale si è posto a capo della città un city manager , il quale è la personificazione del potere oggettivo, e personifica il neologismo di tecnocrazia in cui il governo è organizzato da tecnici del bene comune. In Europa i casi più significativi li troviamo in Germania e Francia. La repubblica di Weimar fa un riferimento vago all’amministrazione come luogo di potere neutro. Carl Schmitt diviene comprensibilmente uno strenuo difensore di un sistema di stato oggettivo in quanto antitetico rispetto al parlamentarismo. Dunque, è comprensibile, altresì, il perché nell’Europa del dopoguerra è fondamentale sradicare l’incompetenza e svalutare il suffragio universale celebrando l’élite in una forte sfiducia democratica. Chardon spiega che le società moderne per essere amministrate hanno bisogno di ordine che il parlamentarismo non può soddisfare ma che può invece l’amministrazione come potere estraneo alla politica e non sottomesso a questo, come rappresentante di un interesse della nazione, come punto di mediazione tra massa ed élites, tra politica e amministrazione.

Negli Usa è il periodo del New Deal a segnare una svolta nell’ascesa del potere amministrativo nel quale gli alti funzionari detenevano un potere fondato sulla efficacia e la competenza, per cui il potere politico è di fatto controbilanciato da quello amministrativo. Non si è mai trattato di crearne una teoria positiva ma, la potenza del potere amministrativo si è imposto pragmaticamente. In Francia, i grandi corpi statali avevano costituito l’incarnazione della sovranità pubblica dopo la fine della terza repubblica giacché avevano rappresentato una alternativa al gioco dei partiti. Una delle figure più importante dei cosiddetti giacobini dell’eccellenza è Nora il quale sostiene che la legittimità è detenuta dal tecnocrate perché se è vero che la legittimità temporanea è costituita dall’elezione, quella a lungo termine riposa nella funzione pubblica.

Due tipi di prove designano gli individui incaricati di adempiere alla funzione pubblica: elezione e concorso. La prima è espressione della volontà mentre l’altra risponde a criteri oggettivi. Pecqueur, reinterpretando il marxismo, sostiene che nella società comunista tutti i cittadini dovevano essere funzionari dell’utilità comune per cui al popolo toccava anche il diritto di giudicare i meriti dei governanti. La società ideale doveva dunque selezionare. E se il concorso serviva per una elezione scientifica, il voto per una validità politica al fine di rilevarne una moralità. Laboulaye, invece, invita ad una costruzione di un’amministrazione democratica (affinché sia legittimata) forte al fine di controbilanciare il potere della camera. Se per l’elezione chi emette il verdetto è l’opinione pubblica in quanto comunità naturale, nel caso del concorso è socialmente costruita, ovvero bisogna che la società sia organizzata per distinguere le competenze. Tuttavia, il concorso è una variante dell’elezione: entrambe sono vicine perché si tratta di scegliere le capacità del candidato e gli obiettivi di quest’ultima sono l’affermazione della uguaglianza dei cittadini e la

La legittimità elettorale è stata desacralizzata da un indebolimento del senso di appartenenza dell’elettorato e dell’incapacità di proiettarsi al futuro. Così la maggioranza ha perso il senso originario, così come il popolo non è più il maggior numero, ma una somma negativa di diritti non riconosciuti, è una generalità invisibile, è sempre più minoranza.

Parte II: Capitolo I

Accelerazione di quelle istituzioni di sorveglianza che hanno un carattere ibrido: sono normative, giudiziarie ed esecutive. Negi Usa la creazione di queste autorità si intreccia alla costruzione di un potere amministrativo preoccupandosi entrambe che le istituzioni si preoccupino dell’interesse generale. La debolezza dello stato federale si esplicava nel vuoto di governo del quale approfittavano le macchine partigiane e partitiche del tempo (partito assume una connotazione negativa) e in controtendenza gli spalatori di fango dalla collusione partitica. L’unico contrappeso era determinato dai giudici e la Corte suprema aveva di conseguenza aumentando il proprio potere diventando strenui difensori del laissez-faire (tanto da volerlo costituzionalizzare). Per reazione, si crea una corrente riformatrice che si traduce in una serie di provvedimenti volti a regolare interi settori sottraendoli all’amministrazione ritenuta non adatta ad essere garante dell’interesse comune. Inoltre, furono introdotte expertise in grado di gestire le tariffazioni in maniera più competente dell’amministrazione federale esistente. Infine, una struttura che avesse funzione di arbitraggio tra compagnie in grado di difendere gli interessi particolari degli utenti. Nella legge del 1887 introduce per la prima volta il principio bipartisan per cui nella costituzione delle cinque commissioni non potevano esserci più di tre membri del partito chiarendo, dunque, che la commissione doveva essere indipendente rispetto al partito. L’Interstate Commerce Commission fece da capofila ad una serie di altre istituzioni indipendenti di regolamentazione, come ribadito durante la querelle che coinvolse il presidente Roosvelt il quale voleva destituire un commissario avverso al New Deal e la Corte Suprema glielo negò sancendo l’indipendenza della commissioni rispetto all’esecutivo.

Spesso la messa in campo di istituzioni di questo tipo significavano un deficit della legittimità democratica, sebbene si siano imposte anche laddove il potere sembrava solidamente legittimato. E’ il caso del Cnil nel 1978 per il quale il senato fu il primo a proporre la qualifica di autorità indipendente e per il quale il governo assieme al parlamento affidò la questione sulla gestione di tale organismo ad una commissione di saggi così da eliminare ogni sospetto di parzialità tale da inficiare la legittimità. Di esempi di questo genere di autorità ve ne sono altri (es: Haute Autorité de l’audiovisuel o la Commissione delle operazioni di Borsa), sottolineando l’aspirazione di processi decisionali non più segreti ma trasparenti.

Malgrado questo, le critiche non sono state evitate: c’è chi parla di un quarto potere senza testa o di perturbatori dei poteri pubblici. Si può inoltre dire che non hanno subito nessuna teorizzazione ma hanno avuto uno sviluppo pragmatico e si sono integrate nella cultura politica nazionale come anomalie giuridiche. Critiche feroci provengono dalla destra che vede nella tecnica burocratica in una volontà della sinistra di incarnare il bene pubblico. Nel contesto francese, le critiche riguardano le accuse di viltà del potere rispetto alla nascita di queste autorità, o ancora, vengono percepite (secondo un rapporto parlamentare del 2006) come stati separati dallo stato tradizionale. Queste critiche virulente non ha risparmiato nessuno dal votare a favore delle autorità indipendenti poiché riconoscenti del deficit dello stato tradizionale creando l’effetto perverso di svalutare definitivamente il potere centrale.

La sfiducia nei confronti dell’esecutivo (e la fiducia conseguente per l’organizzazione indipendente) ha tuttavia una componente sociale/sociologica evidenziata dagli esperimenti di Coleman nei quali rispetto alla questione del nucleare è stato chiesto se per evidenziare eventuali problemi di salute provenienti dal nucleare si fidassero di una associazione indipendente piuttosto che una istituzione governativa. E’

evidente che la prima fosse più accreditata dacché l’imparzialità dà la percezione sociale di una legittimità e dunque sentore di una maggiore democraticità.

Parte II: Capitolo II

La legittimità delle istituzioni indipende riguarda una legittimità di efficacia cioè una legittimazione attraverso i risultati raggiunti, di tipo funzionale.

La rappresentatività storicamente si è divisiva in una rappresentanza per delega (mandato) o per figurazione (incarnazione), per entrambe l’elezione è il modus operandi per designare sia il mandatario che colui che figura dal momento che nell’elezione si fondono l’elemento della fiducia del mandatario quanto del figurante. In questo senso le autorità indipendenti non si riconosco in nessuna delle due. Per quest’ultima possiamo però riconoscere due altri tipi di rappresentanza: di attenzione e organo. Di fatti, l’autorità indipendente può essere strutturalmente pluralista o può esserlo sostanzialmente facendosi carico della particolarità (divenendo dunque riparatrice e complementare alla rappresentanza-delega); e complementariamente l’imparzialità può essere sinonimo di attenzione a tutti i punti di vista pensabili, citando Arendt. La rappresentanza organo, invece, dà senso alla totalità sociale e in questo senso si avvicina alle teorie di Carré de Malberg, il quale teorizza un governo nel quale si distinguevano il mandato ( trasmissione di poteri) dall’elezione come atto di fiducia, atto di abbandono piuttosto che di controllo. E, se i deputati nella costituzione del ‘91 rappresentano la nazione in quanto unicum indivisibile, dal punto di vista sociologico di questa interpretazione le categorie della volontà (non come somma delle particolari) l’assemblea dei deputati incarna l’organo l’autore, più che il rappresentante della nazione. Dunque, anche le autorità indipendenti incarnano il volere per la nazione. L’antica concezione della sovranità incarnata si cancella in favore del regno delle legge portando ad una imposizione della categoria dell’imparzialità. Queste autorità indipendenti sebbene non rappresentino la teoria pura del governo rappresentativo, seguendo le speculazioni di Madison e Sieyès i rappresentanti rispondono alle qualità di imparzialità e indipendenza elettorale così come nel diritto pubblico inglese la rappresentanza è distinta dalla massa elettorale e costituisce una limitazione dell’esecutivo a riprova che queste autorità hanno progressivamente realizzato un sistema misto oggi distinto.

La collegialità di queste autorità è una delle prerogative più importanti di queste ultime. Il modo di nomina di una commissione differisce però da quello di un potere politico giacché il secondo è un decisore-sovrano mentre il secondo ha una connotazione plurale e la sua legittimità deriva dalle procedure di presa della decisione che risponde grossomodo alla funzionalità descritte delle personalità senza mandato. Inoltre, la dimensione di queste istituisce costringe ad una ricerca di un fine comune e la pluralità conduce a decisioni migliori poiché è necessaria una diversità cognitiva in vista di una decisione. Inoltre, la limitazione e la possibilità di revoca e la possibilità di comminare sanzioni resta aspetto comune in quasi tutti i casi. Tuttavia, resta agli antipodi rispetto alla elezione per la mancanza di nessun obbligo di fiducia e di dipendenza con l’elettore.

Un potere è democratico solo se è sottomesso ad una prova di convalida (elezione, ad esempio). Esistono altre prove di convalida come quelle di imparzialità di una autorità di regolazione. L’indipendenza conferisce uno statuto e deve essere garantita per mezzo di regole, mentre l’imparzialità definisce una qualità, ma i due elementi non si sovrappongono: si può essere indipendenti senza essere imparziali. Nel tempo si è sempre costituito un pubblico interesse per l’indipendenza della giustizia, ora l’attenzione viene rivolta nei confronti dell’imparzialità sancita da Strasburgo che ne stabilisce le regole e le modalità. Sono state costruite delle categorie di imparzialità personale e di imparzialità oggettiva/funzionale. La prima mira a scongiurare l’esistenza di pregiudizi nel giudici, e la seconda è attenta al fatto che questo magistrato non si comporti in maniera tale da inficiare la sua imparzialità. A differenza della neutralità, l’imparzialità qui

hanno effetto di ritorno su di sé. Ma il giudice non è mai disinteressato in quest’ultimo senso, aggiunge Kojève, perché vive la modificazione del mondo ed è per superare questo si è visto in lui un carattere divino in grado di sorvolare sulle cose del mondo per poter giudicare, va da sé che questa possibilità non possa esistere. Problematica è la questione dell’imparzialità di distanza (altra utopia) di Blackstone, non applicabile solo al potere giudiziario. Anzi, Blackstone fa riferimento alla storia di tale imparzialità in quanto prerogativa del servizio per il bene comune in particolar modo in grecia antica quando veniva chiamato un arbitro esterno in grado di intervenire per restaurare un’autorità. Anche nei comuni italiani, giacché le grandi famiglie monopolizzavano il controllo dei consigli comunali, si è istaurato il bisogno di affidare il governo al podestà (al di fuori delle città). Per questo motivo prerogativa del podestà era l’imparzialità; essi dovevano però rispettare una serie di regolamentazioni affinché si rendessero quanto meno invischiati nella politica, per questo vennero decretate una serie di regole che tuttavia non esaurivano l’ampia gamma di situazioni e sottolineano quanto precaria sia l’imparzialità. La terza forma utopica riguarda la mano invisibile del mercato (come la conosciamo noi teorizzata non tanto da Smith quanto da Hayek). Il mercato, per Hayek, è utilizzabile a vantaggio di tutti (al contrario dello stato) e dunque destinato a rimanere imparziale e a costituire un ordine invisibile di capitalismo utopico

  1. L’imparzialità costituente definisce le istituzioni indipendenti. Già Condorcet era d’accordo nel separare il tesoro pubblico dall’amministrazione e dunque non guardare in senso stretto la divisione dei poteri, proponendo dunque un costituzionalismo economico. Di fatti, la questione dell’indipendenza delle banche è stata il nocciolo fondamentale dei dibattiti tanto negli usa quanto della Germania postbellica. Poiché la crisi finanziaria degli anni ’30 caratterizzata da una inflazione ingestibile era sintomo di un vero e proprio stato di decomposizione sociale che avrebbe portato, secondo Adenauer, ad una guerra di tutti contro tutti. E’ in questo quadro che nel 1949 uno dei primi provvedimenti della repubblica federale sarà imporre la centralità del Reichstaat. Già negli anni ’20 il costituzionalismo economico era preoccupazione di economisti dell’Ordo ostili al nazismo e che svolgeranno un contributo fondamentale nel dopoguerra. Di qui deriva la preoccupazione per la stabilità dei prezzi e di una banca centrale in quanto autorità indipendente in grado di creare una relazione diretta con la popolazione. L’imparzialità, infine, ingloba la preoccupazione di mantenere un regime democratico e attento ai principi repubblicani e l’equo trattamento degli individui.
  2. Parte III: Capitolo I
  3. La democrazia elettorale-rappresentativa si basa sull’assioma secondo cui la volontà generale si esprime nel consenso elettorale attraverso l’assimilazione degli elettori al popolo e la continuità del momento elettorale all’interno dell’attività politica. La riflessività serve a creare una generalità di moltiplicazione degli approcci parziali.
  4. La democrazia immediata rimanda all’idea di un popolo capace di prendere forma in maniera evidente, eliminando la mediazione della rappresentatività e dei partiti (volendosi per cui affrancare dal peso della tradizione del potere costituito cioò quello rappresentativo). Tale potere costituente è quindi fedele all’ideale democratico ed espressione della volontà nascente. Così isitituito è la forma secolarizzata del potere divino e per tale ragione deve rimanere come pura azione senza alcuna mediazione di quella che è la volontà manifesta. La barricata come possibilità di delimitare una parte e l’altra è l’incarnazione di questo ideale secondo Blanqui. Durante il corso dei secoli numerosi sono stati i tentativi di rifarsi al potere costituente, è il caso di Schmitt che, nella sua teologia politica il decisionismo è manifestazione diretta in cui la decisione è verità. Agli antipodi, la tradizione comunista del partito unico ha ribadito la medesima fascinazione del potere costituente, a questo punto ponendo l’uguaglianza il governo e la rappresentatività.
  5. Queste sono le conseguenze estreme di un fenomeno che oggi perdura: quello dell’iperelettoralismo. Condorcet, a differenza di chi poneva il governo rappresentativo come unica

possibilità contraria a quello diretto, egli pone una terza via: la pluralizzazione della sovranità popolare (sovranità complessa) data da una continua interazione tra il popolo e i rappresentanti pluralizzando gli ingranaggi e le figure.

  1. Si basa su una concezione di un popolo tutt’altro che omogeneo: popolo-elettorale, popolo-sociale, popolo-principio. Il primo è dato dalla consistenza numerica delle urne, si divide tra maggioranza e minoranza ma coesiste una parte evanescente di questo data dagli astentuti. Tuttavia, la prova elettorale rappresenta una uguaglianza procedurale e l’esistenza incontestabile di una maggioranza. Al contrario, il popolo-sociale rappresenta le minoranze in continua evoluzione, è dunque un popolo-storia/flusso. Il popolo-principio viene definiti dal soggetto di diritto in grado di ridurre le proprie particolarità in modo che tutti si riconoscano in lui. E’ in questo soggetto che si fonda la comunità politica e dà vita ad una uguaglianza inclusiva come possibilità di eliminazione di tutto ciò che è discriminante. E’ sulla sovrapposizione di queste tre idee di popolo che si incarna il soggetto democratico.
  2. La democrazia assume senso solo se la sua temporalità viene costruita (in una democrazia diretta la temporalità come ripetizione la logorerebbe) nella storia. Scegliere si iscrive nella possibilità di una futura realizzazione di valori, perciò e strutturalmente costrutto temporale.
  3. L’elezione è basata sull’idea che debba selezionare i migliori e nel contempo che debba stare al fianco di chi lo elegge secondo un principio di prossimità. Di qui derivano i due idealtipi: quello dell’avvocato e quello del compagno. L’identità e la similarità non ha raggiunto il risultato sperato da Poudhon, di deputati operai in grado di rappresentare il popolo, ma cerca dal potere la prova della sensibilità di fronte agli avvenimenti reali. Ricoeur distingue il socio in quanto categoria e il prossimo il quale è sempre singolare ed è sempre collegato ad una volontà di farsi presente, di avvicinarsi. Tuttavia, tanto per Arendt quanto per Ricoeur ha una dimensione impolitica. Il sociale, oggi inteso come ordine della minoranza invisibile, beneficia della politica di presenza giacché rappresentare significa, in questo caso, empatizzare. L’empatia non può ridursi, dunque, ad un discorso ma si appropria della possibilità si manifestare ed esibire la propria presenza. Il potere diventa verità sensibile e immanenza alla generalità intesa come immergersi all’interno delle storie particolari in cui tutti possono riconoscersi dando così vita alla nozione di popolo (rappresentanza-narrazione come sostituzione di una generalità vuota). L’avvento del potere democratico, proclamando l’uguaglianza, ha eliminato la gerarchia tra il potere e la società e per questo i regimi di ‘’democrazia incerta’’ hanno dovuto trovare nuovi espedienti. Quello bonapartista si è servito del viaggio così come la diffusione del volto dell’eletto come aiuto alla rappresentanza (e vero strumento di governo) e come esperienza fisica della prossimità, dal ‘53 al ‘69 verranno organizzati sedici viaggi per mettere in contatto i francesi con il loro capo in modo da crearne una famigliarità unanime tipica del cesarismo, il suo corrispettivo funzionale è quello del plebiscito. Per questo motivo, i fautori della terza repubblica avranno radicalmente ridotto la prossimità, proprio per scongiurare il cesarismo.
  4. Al contrario, Mitterand e Chirac useranno una tecnica di distanza fondata sulla rarità della comunicazione e il valore del silenzio teso a rendere solenne la parola del presidente e sempre meno si sono spostati ad inaugurazioni di ogni tipo, ma sempre prima si sono precipitati ad esprimere la loro compassione (Bush jr e Sarkozy). In America, Bush jr, è ispirato al compassionate conservatory di Olasky per cui la compassione era un economizzatore di istituzioni. Parallelamente, Olasky sostiene che prima dell’avvento dello Stato-provvidenza le istituzioni caritatevoli fossero più efficaci perché faccia-a-faccia con il problema della povertà. Sarkozy, dal canto suo, ha riprodotto una onnipresenza come strategia politica sia in una spinta attivista sia come attenzione ossessiva per la comunicazione, sottolineandone le manifestazioni più perverse e determinanti di un effetto contrario, di svalutazione e dunque di distanza dalla realtà.