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MEDIAMORFOSI - RIASSUNTO, Resumos de Sociologia

Riassunto scritto in italiano della vecchia edizione

Tipologia: Resumos

2020

Compartilhado em 10/02/2020

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MEDIAMORFOSI 2
Parte Prima: Industria
Già e non ancora: a dieci anni dalla rivoluzione digitale
Guardando indietro e allargando anche un’po’ lo sguardo, dalla televisione all’interno comparto
audiovisivo non possiamo non affermare che:
È avvenuta la costituzione di giganti integrati che operano nel settore convergente dei
media;
La globalizzazione del mercato dei contenuti, e la correlata inflazione dei costi di
realizzazione e di marketing;
La perdita e la nascita di nuovi intermediari: indicizzatori e motori di ricerca, aggregatori di
contenuti professionali e di audience;
La crescente compatibilità tra protocolli trasmissivi;
La compenetrazione di tecnologia;
L’avvento della pirateria digitale;
AREE DI RESISTENZA
Dobbiamo registrare anche aree di resistenza, una sorta id “controcanto” alle derive dominanti.
1. La visione di contenuti televisivi è largamente preponderante rispetto ad ogni altra
fruizione di contenuti video. La visione della TV pesa l’81% del totale. I device multimediali
valgono il 19%. È vero che nei giovani il peso dalla Tv si ridimensiona molto (58% presso i
18-24), ma non si può parlare di perdita.
2. Il consumo della televisione sul televisore rimane in gran parte lineare.
3. L’audiovisivo fisico (come il libro di carta e il CD in vinile) si sta dimostrando più resiliente
del previsto. Il physical mantiene ancora un peso significativo (45% rispetto al digital).
4. La crescente globalizzazione della produzione e della distribuzione e la correlata inflazione
dei costi di marketing creano le condizioni per una produzione di segno diverso: globale ma
indipendente, realizzata da soggetti diversi dai grandi gruppi leader e in distretti periferici
rispetto ai grandi hub (Turchia, corea, india).
È indubbio che il settore media&itertainment stia cambiando così profondamente e rapidamente.
We are the money: studio system e modelli di business
Nei primi 10 anni il mercato americano era dominato dalla Motion Picture Patents Company
(Mppc), un cartello di imprese. Giunse a controllare 2/3 del mercato americano. Nei tardi anni ’20
si ebbe un lungo processo di consolidamento che portò alla nascita di grandi gruppo integrati.
Alcuni avevano radici nella produzione/distribuzione, come Paramount (fusione delle compagnie
di Zukor e Lasky) e WB che vinse sulla scommessa del parlato, MGM e Rko. Si avevano quindi
cinque major integrate (WB, Fox, Paramount, Mgm, Rko) e tre di sola produzione e distribuzione
minor (universal, columbia, United Artist).
All’apice però dei grandi investimenti per convertirsi al sonoro, arrivò in pieno la crisi economica.
Al ’33 quasi tutti gli studios andarono in amministrazione controllata sotto la finanza newyorkese.
LA PRODUZIONE
Se prima la produzione ruotava attorno alla figura centrale del regista factotum, nei primi anni ’20
nacque la specializzazione dei compiti. Emerse la figura del central producer, del capo della
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MEDIAMORFOSI 2

Parte Prima: Industria

Già e non ancora: a dieci anni dalla rivoluzione digitale

Guardando indietro e allargando anche un’po’ lo sguardo, dalla televisione all’interno comparto audiovisivo non possiamo non affermare che:

  • È avvenuta la costituzione di giganti integrati che operano nel settore convergente dei media;
  • La globalizzazione del mercato dei contenuti, e la correlata inflazione dei costi di realizzazione e di marketing;
  • La perdita e la nascita di nuovi intermediari: indicizzatori e motori di ricerca, aggregatori di contenuti professionali e di audience;
  • La crescente compatibilità tra protocolli trasmissivi;
  • La compenetrazione di tecnologia;
  • L’avvento della pirateria digitale; AREE DI RESISTENZA Dobbiamo registrare anche aree di resistenza, una sorta id “controcanto” alle derive dominanti.
  1. La visione di contenuti televisivi è largamente preponderante rispetto ad ogni altra fruizione di contenuti video. La visione della TV pesa l’81% del totale. I device multimediali valgono il 19%. È vero che nei giovani il peso dalla Tv si ridimensiona molto (58% presso i 18 - 24), ma non si può parlare di perdita.
  2. Il consumo della televisione sul televisore rimane in gran parte lineare.
  3. L’audiovisivo fisico (come il libro di carta e il CD in vinile) si sta dimostrando più resiliente del previsto. Il physical mantiene ancora un peso significativo (45% rispetto al digital).
  4. La crescente globalizzazione della produzione e della distribuzione e la correlata inflazione dei costi di marketing creano le condizioni per una produzione di segno diverso: globale ma indipendente, realizzata da soggetti diversi dai grandi gruppi leader e in distretti periferici rispetto ai grandi hub (Turchia, corea, india). È indubbio che il settore media&itertainment stia cambiando così profondamente e rapidamente.

We are the money: studio system e modelli di business

Nei primi 10 anni il mercato americano era dominato dalla Motion Picture Patents Company (Mppc), un cartello di imprese. Giunse a controllare 2/3 del mercato americano. Nei tardi anni ’ si ebbe un lungo processo di consolidamento che portò alla nascita di grandi gruppo integrati. Alcuni avevano radici nella produzione/distribuzione, come Paramount (fusione delle compagnie di Zukor e Lasky) e WB che vinse sulla scommessa del parlato, MGM e Rko. Si avevano quindi cinque major integrate (WB, Fox, Paramount, Mgm, Rko) e tre di sola produzione e distribuzione minor (universal, columbia, United Artist). All’apice però dei grandi investimenti per convertirsi al sonoro, arrivò in pieno la crisi economica. Al ’33 quasi tutti gli studios andarono in amministrazione controllata sotto la finanza newyorkese. LA PRODUZIONE Se prima la produzione ruotava attorno alla figura centrale del regista factotum, nei primi anni ’ nacque la specializzazione dei compiti. Emerse la figura del central producer, del capo della

produzione dell’intero studio, responsabile di tutti i progetti con più collaboratori esecutivi. Negli anni Trenta si affermò il ruolo del capo-struttura o until producer , responsabile ultimo di una “linea di prodotto”. Gli studios generavano significative economie di scala, e l’ampiezza della line- up di ciascun Sudios consentiva l’adozione di una strategia manageriale di portafoglio allocando in modo mirato le risorse su linee di investimento differenti. Così un portafoglio negli anni d’oro prevedeva:

  • 6 - 7 titoli ad alto budget, che comportavano un elevato rischio economico.su questo era fatto maggior sforzo di produzione.
  • 10 - 15 film di medio budget di generi solitamente differenti.
  • 25 - 35 titoli a basso costo, realizzati in serie con formule standard e andando a riutilizzare scenografie già esistenti. Venivano venduti in pacchetto assieme ai titoli ad alto budget per tamponare futuri flop. LA DISTRIBUZIONE Nel modello classico gli studios utilizzavano importanti economie di scala anche nella distribuzione¸ divise rispettivamente nelle pratiche di block-booking (l’imposizione di noleggiare intere porzioni del listino) e blind-bidding (farlo a scatola chiusa). Aprire delle filiali dirette con personale dipendente era più costoso, ma gli studios lo preferirono perché dava maggiori garanzie di controllo dei processi distributivi rispetto agli agenti a provvigione. L’ESERCIZIO L’industria americana del periodo classico fondava sull’esercizio buona parte del suo equilibrio economico, generando i cinema quasi 2/3 del fatturato della major integrate. Producevano cassa, compensando i costi dei film. Controllare le sale garantiva poi uno sbocco ai propri prodotti. Le minor invece adottavano un modello di integrazione parziale (solo produzione e distribuzione), mentre altre realtà più piccole si specializzavano nella sola produzione (Biancaneve). Gli indipendenti comunque non dovevano sottostare alle procedure e agli standard di valutazione degli studios e non avevano l’obbligo di sottostare al Production Code potendo così affrontare temi più controversi. LA CRISI DEL MODELLO INTEGRATO E L’ARRIVO DELLA TELEVISIONE Tra gli anni ’40 e gli anni ’50 una serie di fenomeni rese il business cinematografico meno stabile.
  1. La drastica riduzione dei ricavi theatrical. Dopo la guerra gli americani andarono meno al cinema. Dai 4,4 miliardi di biglietti nel ’47 a 1 miliardo nel ’64. La causa fu il cambiamento dello stile di vita di una larga fetta della popolazione, che migrò dalle città ai quartieri residenziali periferici e al fenomeno parallelo dei baby-boom. Oltre ovviamente all’arrivo della televisione.
  2. La rinuncia forzata ai ricavi dell’esercizio, non potendo infatti più le major dal ‘48 (che facevano il 90% delle immobilizzazioni) e produrre contemporaneamente; perdendo così gran parte dell’attivo patrimoniale.
  3. La difficoltà di difendere i film medio/piccoli. Con il divieto di praticare block-booking i B- movie divennero più difficili da vendere.
  4. La tendenza di registri ed attori famosi ad affrancarsi dalle vincolanti esclusive con le major. Le star fondarono case di produzione, relegando gli studios al ruolo di finanziatori.
  5. L’esplosione del mercato di filmed entertainment per la tv. Prima gli studios avevano fatto di tutto per ostacolare la nascita di questo nuovo mezzo, ma quando capirono che le televisioni gli chiedevano di fare per loro i serial ci ripensarono.

pubblico. Si vede però ancora nella distribuzione una filiera rigida, in mano a monopoli che resistono soprattutto a livello periferico e regionale.

Lontano da Hollywood

L’industria cinematografica statunitense occupa una posizione di dominio nel panorama mondiale. ECCEZIONE CULTURALE: L’EUROPA La tradizione produttiva europea ha spesso rivendicato invece la necessità di intendere lo spettacolo non solo per il suo valore economico ma anche culturale. La Francia si può dire che ha affermato l’esistenza di un’accezione culturale. Esistono merci come i film il cui reale valore va al di là di quello di mercato. Ed è a partire dal riconoscimento di questa doppia natura che si sono articolate le iniziative del programma Media, ovvero le misure che da 30 anni incoraggiano lo sviluppo dell’industria audiovisiva dell’Unione. C’è un’idea che esista un retaggio cinematografico comune, e quindi esista un cinema europeo, inserendosi così in questo contesto tutti i sussidi e gli sgravi. Francia viaggia internamente sui 30/40% di film, Italia e Germania sul 30%. All’estero i film europei viaggiano sotto il 2,5%. LA CINA La Cina per volere proteggere i suoi film ed a sua detta la sua cultura, ha imposto delle pesanti restrizioni sui film stranieri. Consistono in un tetto alle importazioni di film stranieri a 20 titoli l’anno, e 14 in formato spettacolare (vedi Transformer che ha seguito l’altra strada ovvero quella della coproduzione, dove queste imposizioni crollano. Funziona con l’obbligo di almeno un attore cinese e di investimenti produttivi di attività cinesi in almeno un terzo del totale.) La crescita del box office cinese in sala è stata del 350% dal 2010-2015, e il numero degli schermi è aumentato del 400%. La Diversità culturale è invocata dalla Cina, differentemente dall’Europa, per tutelare e preparare un’industria che mira a una prossima affermazione sul mercato globale imitando il modello produttivo hollywoodiano. UN’ALTRA REALTA’: L’INDIA L0india produce oltre 1200 film all’anno, diverse centinaia in più rispetto agli Usa. La maggiore particolarità sembra l’impenetrabilità alle industrie straniere. I film locali viaggiano oltre al 90%, rendendola simile alla situazione statunitense, non avendo però un’esportazione altrettanto efficace. Una delle ragioni del successo locale sta proprio nella sua territorialità. Non esiste un cinema indiano ma 24 lingue diverse: Bollywood ne rappresenta ¼, seguito da Kollywood e Tollywood, oltre alla particolarità di prodotto che il pubblico è interessato. Trama convenzionale, con romanticismo, dramma, musica e ballo.

Abbondanza e controllo: le trasformazioni del sistema televisivo statunitense

A differenza dell’Europa, negli USA si è affermato un modello televisivo esclusivamente commerciale. Un numero limitato di network nazionali compete per la raccolta pubblicitaria generata dal sistema delle imprese a cui è venduta la quota d’ascolto. Si accumula audience con programmi di intrattenimento e informazione e chiedere agli inserzionisti pubblicitari di pagare per legarsi a questi contenuti. LO SCENARIO DELLA TV AMERICANA La TV nasce nel ’47, trasmettendo quasi solo sport e lasciando gli altri generi alla radio. Già nel ’ però i network cominciano a trasferire i generi della radio. Il primo satellite per la comunicazione

risale al 1962 e segna la nascita della mondovisione, dando l’avvio a una serie di esperimenti che porteranno alla creazione del direct boradcastng satellite (dbs) negli anni ’80. Nel ’95 parte il progetto Full service Network di Time Warner, che permette di dotare Tv più decoder. L’idea è di integrare televisione e internet. Lo scenario americano annovera cinque tipi di televisione, definiti principalmente dalla modalità di trasmissione. Il free to air vede in competizione cinque emittenti nazionali, oltre a piccole stazioni indipendenti e regionali che si dividono il 30% degli ascolti: Nbc, Cbs, Abc, Fox e The CW. La restante quota si divide tra il via cavo, basic e pay. Nel 2002 una corte d’appello ha decretato la non possibilità di uno stesso operatore di controllare più del 35% dell’audience. Questo ha spinto verso una verticalizzazione del mercato, come Disney o la Nbc che nel 2005 si è fuso con gli Universal Studios. Per quanto riguarda i contenuti le reti generaliste presentato tutte un’offerta simile, con titoli della durata di 30 o 60 minuti. Al mattino in onda informazione e programmi per il pubblico femminile, al pomeriggio talk show, game, e cartoni e fiction. Primetime occupato da programmi di intrattenimento, seconda serata magazine di informazione e late night (dalle 23.00) dai talk show. TRE TIPOLOGIE DI SFRUTTAMENTO ECONOMICO

  1. Programmi in diretta senza sfruttamento dei diritti (fino al 1970) Inizialmente nessuno immaginava ancora lo sfruttamento economico di un titolo dopo la sua emissione in tv.
  2. Distinzione diretta tra network e studio (dal 1970 al 1993) La legge interviene nel 1970 a definire le cosiddette US FInalcial Interset and Syndacation Rules, a regolamentare i rapporti economici e legali dei tre principali broadcaster (abc, Cbs, Nbc). Impongono di rinunciare ai network allo sfruttamento economico dei programmi in onda stabilendo confini ben decisi tra studi di produzione e broadcaster. I bradcaster non commissionano la produzione di titoli ma acquisiscono la licenza di trasmissione dagli studios che gli vendono i loro progetti attraverso dei pitch. Uno studios può produrre diversi show televisivi anche per emittenti differenti, e resta la proprietà agli studios. L’emittente gli affitta e paga per il diritto di sfruttamento. Le strategie produttive sono sostanzialmente due:
    • Il finanziamento parziale (deficit financing): lo studio copre due terzi dei costi di produzione e la restante parte è coperta dal network. Se il programma è un successo aumenta suo valore sul mercato ma anche gli eventuali costi possono essere rinegoziati a favore della casa di produzione. Se è invece un flop è lo studio a dover ammortizzare i costi. Ciò che paga il broadcaster di solito non è sufficiente e gli studios devono trovare altri fondi. In questo periodo nascono la vendita e lo sfruttamento all’estero e verso l’home video. Era il più diffuso nel periodo.
    • La coproduzione che non esclude il finanziamento parziale.
  3. I network tornano in possesso del completo sfruttamento economico della filiera produttiva (dal 1993 fino ad oggi). Tre grandi network affermano l’iniquità dell’antitrust, che non applicava la regola alle rete emergenti o pay. Il governo sospende allora la regola del Financial Interest e i network rientrano così nella facoltà di poter controllare sia gli studios che lo sfruttamento economico dei titoli. Ci si avvia verso una concentrazione delle attività di broadcasting, anche se gli studios non smettono di produrre per i concorrenti. Tipica di questa fase è la strategia di coproduzione, dove si dividevano i rischi a seconda di come sono stipulati gli accordi. LA FREE TO AIR OGGI. NETWORK E AFFILIATE.

Lo sfruttamento dei diritti sui servizi di streaming di proprietà è diventato un fattore strategico: i dati d’ascolto quotidiani e la controprogrammazione live assumono un importanza via via minore. Il nuovo obiettivo dei network sarà quello di creare una library di valore, appetibile per diversi tipi di fruizione e sfruttabile su diverse piattaforme. Appare ora strategica la verticalizzazione tra network e studios nello sfruttamento del diritto in un’ottica anti-ott.

Una storia delle abitudini: il mercato televisivo italiano

LA FORZA DELL’ABITUDINE, VISTA DA OGGI

Fu prima di tutto William James in un volume Habit nel 1890 e 1904 a osservare che l’abitudine è il grande manubrio che guida la società, quanto è maggiore è la parte dei nostri comportamenti che possiamo affidare alla cura pigra dei suoi automatismi, tanto più libereremo la nostra mente per dedicarsi a compiti più elevati. Le abitudini ci costringono ad agire in modo ordinato e stabile, determinando un senso di tranquillità. La forza dell’abitudine sta soprattutto nel risparmio, di tempo e di sforzo mentale, dovuto ai suoi automatismi. Dewey dice che l’abitudine è un fattore determinante, che contiene e contrasta l’instabilità implicita di un vivere in sé sempre mutevole. Ma il ruolo delle abitudini si sta modificando. Lo si ritrova nella caduta verso le istituzioni ritenute un caposaldo della società. Il prevalere dell’effetto-novità sull’effetto-abitudine si nota nell’organizzazione del commercio, e si nota anche nella radio un tempo il più abitudinario dei media ora è soggetta a una moltiplicazione di scelte anche per l’offerta su internet. Nel campo televisivo abbiamo l’avvento di YT e del binge watching. Il cambiamento lo dobbiamo analizzando l’abitudine come risparmio; tanto più è conveniente fruire dello stesso contenuto, tanto più sarò disposto a farlo. Tutto ciò che era stabile lascia spazio a comportamenti di adattamento più aperti non solo in quanto meno bisognosi di sforzo, ma soprattutto in quanto meglio adeguati alle nuove condizioni. UN MERCATO DI NUOVE CONSUETUDINI Google si colloca lungo il percorso dei cacciatori e raccoglitori per intercettare le direzioni che i consumatori prendono. Le emittenti tv commerciali registrano i dati sulle scelte effettuate e promettono che questi dati permettano di capire le scelte di domani. Google vende “presunti” tipi e personalità, le emittenti commerciali vendono la presunta ripetitività delle scelte. La crisi attuale ci permette di leggere perché non possiamo più darlo per scontato il peso che le abitudini hanno avuto nei decenni:

  1. Il radicamento del mezzo nella vita quotidiana nella casa
  2. La presunta passività dello spettatore
  3. Il carattere almeno in parte ritualizzato degli stessi comportamenti Invece di parlare di una tv che vende “teste”, dobbiamo parlare di un mercato delle abitudini, delle ricorrenze e delle pigrizie che sono tutt’altro che immobili. Le abitudini possono cambiare, come è successo in passato LE MOLTE TONALITA’ DEL GRIGIO (1954-1974) Appena l’apparecchio venne collocato in casa si nota l’azione di alcuni meccanismi di difesa dovuti ad un effetto choc. La televisione italiana nel primo suo ventennio CREO’ le abitudini. I dialetti locali imposero in parte la necessità di una lingua comune, oltre ad avere la tv un ruolo nell’organizzazione sociale del tempo, inclusa la ritualizzazione delle pubblicità. Non furono solo gli anni delle icone troppo celebrate e della penetrazione del telefono, ma anche di altre innovazioni digitali e non. Nuovi consumi e nuovi costumi, la cui diffusione coincise con la piena affermazione

di un mercato di massa. Chi poteva puntare a penetrare in un mercato così erano le grandi aziende, le uniche che potevano permettersi di stare in bella mostra in Tv. UN VENTENNIO A COLORI (1975-1995) La fine del monopolio ebbe luogo negli anni settanta. Il radicarsi dei costumi di massa e una retorica dell’austerità incise anche sull’avvento a colori. Introduzione degli spot nei film. La storia delle abitudini può essere letta secondo due chiavi diverse e complementari: l’imporsi dal basso del mezzo televisivo che segnava cambiamenti di costume e anche di mentalità del corso; lo stabilizzarsi dei modelli maggiormente standardizzati con una nuova televisione nazionale simile ma non tanto a mamma Rai (vedi Berlusconi con l’acquisto di telemilano nel 1978). La tv nazionale accompagnò inoltre l’imporsi del brand e del packaging. La pubblicità in tv accoglieva ed etichettava le nuove abitudini. Fu la progettazione di prodotti ad adeguarsi alla televisione. ABITUDINI E MERCATO ALLA SOLTA DEL MILLENNIO. E OLTRE. Una delle novità che si sono imposte alla svolta del millennio è stata la progressiva frantumazione del tempo libero soprattutto per le nuove generazioni. Uno dei segnali si trova oltre che nel moltiplicarsi dell’offerta tv anche nel suo modo oramai multiplo di fruizione.

Non ci resta che produrre

Non ci sono mai stati così tanti prodotti come oggi. Le offerte editoriali non sono molto varie, ma sono proposte da soggetti spesso diversi tra loro (vedi amazon). Sembra che chiunque può produrre contenuti per scopi diversi. Uno dei casi più eclatanti è quello delle telco, le società di telecomunicazione, oltre agli Ott. Ma siamo di fronte ad una bolla di contenuti? Amazon è passata da 3,2 a 4,5 miliardi di dollari di investimento. La fame dei soggetti è cresciuta perché il prodotti library ha perso valore e capacità attrattiva proprio a causa dello sfruttamento intensivo che ne hanno fatto. ISRAELE E LA FORZA DEL FORMAT Successo di Israele nella produzione di format, con il 66% di titoli venduti verso l’estero (Homeland). TURCHIA E COREA DEL SUD. PRODUZIONI LOCAL/AMBIZIONI GLOBAL La grande forza della Turchia a differenza di Israele non è stato il format ma il ready-made, il prodotto finito. L’86% delle esportazioni sono scripted drama fortemente legati alla cultura e storia locali. Prima di approdare in nord America hanno conquistato il mercato orientale, per i temi moderni trattati. Il valore delle produzioni turche è passato da 10 milioni di dollari nel 2014 a più di 300 nel 2016. La Corea del Sud ha seguito la stessa strada, con i suoi K-drama famosi in tutto il mondo, conquistando Cina Giappone e Taiwan. LA NASCITA DI UN DISTRETTO. I NORDICS Successo della Norvegia e del distretto scandinavo. Con il format giusto hanno attirato l’attenzione internazionale. I titoli esportati da questo distretto erano 261 nel 2 016 con il genere che ha fatto le loro fortune, il nordic noir. LA QUESTIONE DI FONDO Il tema trasversale di quasi tutti i distretti è l’intervento statale, volto a garantire le quote riservate alle case di produzione indipendenti e la negoziazione singola dei diritti di sfruttamento dell’opera. Garante assoluto di questo sistema è l’UK, secondo solo agli USA.

IL PRIMO MODELLO: PAY-TO-PAY

Accesso a pagamento. La formula del gioco a gettone si afferma nei primi anni Settanta con l’emergere dei coin-op. l’utente non acquista un gioco ma la possibilità di accedervi in tempo limitato. Questa meccanica presuppone un’attenta calibrazione delle meccaniche ludiche per bilanciare il livello di difficoltà all’abilità dell’utente, gratificandolo ma al contempo sollecitandolo a prolungare l’esperienza. Il modello arcade prevede nella maggior parte dei casi una fruizione individuale. Si può anche con una singola transizione acquistare di netto il videogioco, se volesse spendere di più avrebbe dei contenuti premium (dlc) o prodotti fisici a tiratura limitata. Ci potrebbero essere dei contenuti successivi da comprare a discrezione dell’utente con ovviamente l’apposita consolle, chiamatosi modello razor-and-blade le aziende commercializzano i lettori di videogiochi con margini minimi con l’obiettivo di ricavare guadagni sulla vendita. I videogiochi inscatolati possono esser acquistate in catene specializzate o in negozi generalisti. I rivenditori esercitano in questo modo un notevole controllo sulla catena del valore. Secondo il retail purchase un altro aspetto chiave è la stagionalità, dove metà delle vendite avvengono nell’ultimo trimestre dell’anno. Negli usa questo modello è calato, prima nel 2010 71% ora nel 2015 44%. Tutto perché ora va forte il download digitale che ha crescita costante con 56% negli USA nel 2015, vanificando la pirateria e proponendo delle esclusive digitali. EA va forte con i Dlc. Vanno forte le prove gratuite, trailware, l’indie e la distribuzione episodica (the walking dead). Caso dell’abbonamento, come WoW, caratterista peculiare dei Mmog. Fortnite esmplare per le micro-transazioni intra-ludiche anche come Farmville. Kickstarter è un’po’ particolare con la prevendita e finanziamento esternalizzato (route Zero). MODELLI DI BUSINESS FREE-TO-PLAY Non paghi per giocare. Se paghi puoi avere delle agevolazioni durante il gioco, è così che lucrano. Può avvenire la pubblicità intra-ludica come nei palinsesti in FIFA, la pubblicità extra-ludica tra un livello ed un altro e come in fantagazzetta.

Conclusione. Content is screen

La convergenza ne ha fatto dei fondamentali supporti/mediatori di esperienza. Attraverso gli schermi non solo si guarda ed ascolta ma si agisce anche nei riguardi del mondo. L’interposizione si è fatta abilitazione. L’intermediazione dell’esperienza che i nuovi device abilitano è di tale portata che la partita per il presidio degli schermi è diventata più importante di quella per il possesso dei contenuti. Si potrebbe leggere la storia industriale dell’audiovisivo proprio come una grande partita tra chi produce contenuti e chi gestisce gli schermi. Già dagli albori Zukor e Lasky, produttori di panamount , cercavano di integrarsi a valle acquisendo sale cinematografiche. Dall’altra i maggiori esercenti come Tally e Williams volevano comprare società di produzione. Cento anni dopo non cambia nulla, con il conflitto tra Hbo e Netflix. Ovviamente in mezzo a questi due estremi vi sono grandi vie di mezzo. Oggi con le potenzialità di internet e delle soluzioni Ott si è molto ravvivata la partita incrociata per il controllo del contenuto ed il presidio degli schermi. I content provider coltivano il sogno di arrivare direttamente sugli schermi del consumatore, ma non è semplice: vedi caso Netflix vs Disney. Vi sono tre grandi famiglie per questi nuovi “screen- master”:

  1. I Tech: governano anzi creano i nuovi schermi, come Apple e Samsung.
  1. I Retail: non controllano i device ma fanno leva sulla loro capacità di aggregare una gran quantità di contenuti come Amazon, Netflix e YT.
  2. I Community: fanno la stessa cosa dei retail ma non aggregano contenuti, bensì massa critica. Parte Seconda: Immaginari

Questione di stile: paradigmi industriali e forme testuali nella storia del cinema

Da sempre i paradigmi di business e i corrispondenti modi di produzione influenzano le forme testuali. Sono stati i fattori industriali a definire le linee-guida formali del cinema classico Hlooywoodiano. Il periodo classico è quello dell’età dell’oro del cinema americano che si colloca tra due sentenze della corte suprema: il 1915 sull’anti-trust di Edison ed il ’48 che obbliga gli studios ad abbandonare il settore dell’esercizio. IL SISTEMA NARRATIVO E PRODUTTIVO CLASSICO Sistema che si è distinto per particolari strategie di produzione. C’erano 2-3 formati tipo: A-top, A- medium, B. Gli ultimi due con maggiore marginalità. Per i generi solitamente ogni casa era specializzata, avendo cos’ dei processi produttivi standardizzati. Riguardo ai temi proposti si doveva fare riferimento al Codice di Hayes del ’30, in vigore ufficialmente nel ’34 (rapida eliminazione di violenza, sesso, turpiloquio). Protagonista non più villain. Nascita così dell’official hero e dell’outlaw hero. Ma è la continuity la chiave dello stile classico hollywoodiano. Il lungometraggio comportò la necessità di rendere efficiente la produzione razionalizzandone i processi. Lo strumento che favorì tutto questo fu la community script, la sceneggiatura in continuità che indicava e numerava ogni singola scena, inquadrature, i dialoghi, stimare il numero di giorni e definire il costo prima di girare. Questa modalità richiedeva il rispetto di regole che alla fine permettessero il corretto e invisibile incastrarsi di ogni inquadratura: vennero introdotti i vari divieti come lo scavalcamento di campo (la regola dei 180°), codificare i movimenti dello spazio, l’entrata e l’uscita dei personaggi. Il primo obiettivo era l’ unbroken continuity dello spettatore, definire una fluidità d’azione; un secondo fondamentale obiettivo era standardizzare le operazioni. UNO STILE HOLLYWOODIANO OPPOSTO Da un paio di decenni siamo di fronte ad uno stile ben diverso, i puzzle film o modulari (hardcore, memento). Personaggi che non capiscono tutto, film che allo stesso tempo giocano con il pubblico che deve rimanere concentrato. Si raccomandava di evitare flashback, falsi raccordi, angolazioni troppo marcate; ora si fa tutto questo. Il cambiamento in parte sta nel fatto che i film non esauriscono il loro processo in sala, ma sono multipiattaforma. Devono essere visti più volte, e garantire allo spettatore di godere la storia su più livelli. IL CINEMA POST-CLASSICO Il cinema anni ‘50/60 obbligava ad abbandonare il modello verticalmente integrato. Business quindi molto più rischioso. Oltre a questo c’è anche un crollo verticale del pubblico, con l’introduzione della televisione, dal baby-boom. Vengono abbandonati i B-movie ed enfatizzata la qualità festiva dell’evento con l’introduzione dei roadshow. L’obiettivo è quello di restaurare l’originale potenza emotiva del medium, di permettere allo spettatore di entrare ancora di più nello spazio scenico. UNA NUOVA HOLLYWOOD

QUANTITA’

All’inizio sono tre: Abc, Nbc, Cbs. Fox arriva nella seconda metà degli anni Ottanta cambiando le carte in tavola, stessa cosa che accade con l’esplosione del cable e ora lo streaming. Ora i network e i cable fanno streaming. È l’era della peak tv: c’è troppa tv. Si è passati dalle 216 serie nel 2010 alle quasi 455 nel 2016. Ovviamente c’è anche un quasi dimezzamento degli episodi: da 22-24 a 10 - 13. SERIALITA’ Il numero dei segmenti narrativi influisce sul tipo di formato adottato. Nella prima golden age ci sono solo pezzi unici. Sono collection magari con un tema comune (star trek serie classica), a narrazione chiusa. Dagli anni 80 cambia, bisogna catturare lo spettatore risolvendo l’episodio settimanale ma sviluppando la vita privata dei personaggi e una sub-storia generale. Di fronte a narrazioni corpose diminuiscono quindi episodi e stagioni. INTRECCI Il plot episodico è affiancato dal running plot. L’intreccio comincia a stratificarsi anche perché il cast diventa corale, ogni personaggio ha le sue linee narrative. L’andamento narrativo è anche in verticale, in profondità. Anche se i classici funzionano ancora (CSI, Law&Order, Chicago PD). TEMI E GENERI La gestione dei generi appare già nell’età classica. Gli autori possono scegliere tra commedia e dramma. La prima va nella sitcom, commedia di situazione di 30 minuti lordi. Il drama è argomento serio di durata 60 minuti con pubblicità, si declina in sottogeneri (western, fantascienza, medical). Nel 1985 esce un poliziesco comico, si chiama Moonlighting. Nasce il dramedy 8scrubs girato con camera singola). Anche se il classico non passa mai di moda (BBT9. STILE VISIVIO La tv abbandona la compostezza, l’equilibrio e si abbandona alla televisuality. Lo stile diventa un fattore fondamentale (Legion), talvolta sorpassa il cinema sul piano spettacolare (Il trono di spade, Breaking bad). REPUTAZIONE E BUDGET La serialità da metà anni ’90 diventa culto, comincia ad essere percepita come un soggetto artistico. Il boom arriva con le cable, con Hbo e con i Soprano. Se si vuole fare tv per distinguersi competere con cinema e videogame è impossibile farlo senza budget adeguati.

Du gust il megl che uan. La fiction italiana negli anni della trasformazione

Dopo quasi vent’anni il mondo della fiction italiana è in grande trasformazione. Ma a cosa ci riferiamo con fiction italiana? Le reti che vanno su canali generaliste devono rivolgersi a fasce di pubblico molto ampie. (11 milioni di montalbano, 8 di don matteo, 7 dei Medici). Dall’altra abbiamo le serie che vanno in onda su reti a pagamento, chiamate cable, più innovative ma anche più di nicchia. Serie cable vanno bene per l’immagine, tanto io sono già abbonato se la guardo o no. Sulle reti generaliste contano gli ascolti per la pubblicità. MODELLI DIVERSI, REGOLE DIFFERENTI Rai 1 media share del 25% nel 2016-2017. La fiction di Mediaset ha retto bene la concorrenza della Rai fino agli anni Dieci, ma poi ha sofferto il cambiamento dello scenario competitivo. L’orientamento via via consolidatosi è stato quello di presidiare soprattutto alcuni generi specifici: il crime investigativo “mafia”, mentre perdeva forza un family all’inizio moderno come i Cesaroni. Rai ha saputo rinnovare la sua continuità di titoli: Don matteo, montalbano si sono rinnovanti + Medici. Un’altra caratteristica unica degli ultimi vent’anni della produzione italiana è stato l’ampio

uso del formato della miniserie in due puntate. Da una più ampia estensione al racconto (due puntate da 100 minuti l’una). In due serate consecutive permette un possibile rilancio di spettatori tra la prima e la seconda puntata. VERSO IL MERCATO INTERNAZIONALE Dopo Gomorra, nel 2016 sono andate in onda due serie che rappresentano due dei modelli narrativi delineati sopra: su Raiuno i Medici, e su Sky The young Pope (1 milione).

Talk show politico. Crisi del genere o della politica?

Gli italiani che prestano attenzione a i talk show sono oggi fra i 6/7 milioni. Il tempo che lo spettatore di talk dedica alle chiacchere seriali ammonta a poco più di cinquanta minuti (fino alle 22.30). Mentre Santoro e Floris ai tempi d’oro raccoglievano più del doppio. IL PUBBLICO NON E’ QUELLO DI UNA VOLTA Il pubblico dei talk appare meno generalista di quale anno fa; la città resiste, la campagna si è voltata altrove, le élite guardano ancora, il popolo minuto no. Un atteggiamento da “fermate il mondo”, voglio scendere. I TALK SHOW NON SONO QUELLI DI UNA VOLTA La solfa dell’anticasta ha coperto e sostituito le grandi storie sociali ci classi e padroni che ci avevano accompagnato negli ultimi due secoli. LA TV ITALIANA E’ ANCORA QUELLA DI UNA VOLTA È dagli anni 70 che ai televisori italiani giunge un numero di canali senza pari nel mondo, anche fermandosi al sestetto del duopolio, che grazie a tanta abbondanza riesce da decenni a saturare l’audience rastrellando quasi tutti i ricavi pubblicitari. Il risvolto della sovrabbondanza sta nel dover riempire palinsesti con prodotti che costino relativamente poco, noleggiando produzione altrui o ancora meglio saturarli con i talk. Perché i politici abbandonate le piazze si accomodano sulle poltrone. Da qui la convivenza a una produzione manieristica, che nasce in automatico dalla consultazione delle agende dei redattori dei programmi che incrociano gli orari della produzione con gli impegni degli ospiti per avere il giusto miscuglio di politica. PER IL RINNOVAMENTO DI GENERE

Non tutto è perduto. L’informazione. Il video e le sfide del digitale.

A marzo 2017 eran 3,8 miliardi di persone che utilizzavano internet. I passaggi chiave che hanno segnato l’evoluzione di quella che è identificata come la digital disruption si deve partire dal Cluetrain Manifesto e ke sue 95 tesi, aggiornate con altre 121 chiamate New Clues sulla sorte di internet e come avrebbe cambiato il linguaggio e la comunicazione di aziende e mercati (di Locke, Levine, Searls e Weinberger). La rete è un ecosistema sociale che favorisce la comunicazione. La sua stessa natura è lo scambio di informazioni. ADATTARSI AL CAMBIAMENTO La sfida principale non è tanto comprendere il futuro, quanto avere la capacità di adattarsi. L’importanza dell’informazione non sta scomparendo, ma con l’avvento dei social è stata collocata a un livello superiore della catena editoriale dando un senso al flusso dei testi, audio, foto e video prodotti dal pubblico. L’idea è che il giornalista si ponga al centro del processo, agendo da collettore di informazioni che provengono dalle fonti tradizionali e non, qualificando così ed elevando il suo ruolo. LE SCOSSE SUBITE DALLA CARTA STAMPATA

confini dello storytelling videoludico, fino a ricomprendere in vario modo e in differente misura gli stessi meccanismi del dispositivo. IL RACCONTO DEL LAVORO Si può tracciare una linea divisoria tra gli sviluppatori di videogiochi indie e coloro che producono invece i “tripla A”, i videogiochi commerciali famosi. Il modello narrativo indie racconta le gesta di un piccolo team di sviluppatori, che possono permettersi libertà di trama, genere ed ambientazione precluse alle grande case di produzione. Il caso limite è quello di Undertale o Doki Doki, prodotto da una sola persona. La bassa quantità di fondi solitamente porta a videogiochi con trame molto sofisticate o con disegni pixellati/2D/su scorrimento laterale curati al dettaglio. I Tripla “A” hanno team enormi con capitalizzazione molto elevata. Il compito è specifico ed è difficile che possano uscire dallo schema impostogli. Un esempio sono i videogiochi strategici dove il giocatore viene messo a capo di un party e supera diverse avventure, solitamente con una trama relativamente lineare ed ambientazioni al massimo della grafica (FF). IL LAVORO DEL RACCONTO È possibile ritrovare delle costanti più o meno ricorrenti che legano gli elementi narrativi ludici nei videogiochi.

  • free-to-play. Acquisti in-game per proseguire più spedito, diventando così un pay-to-win. Hanno delle caratteristiche specifiche per quanto riguarda il gameplay di narrazione. Sono previsti traguardi ben definiti ma continui e reiterati. Obiettivi tendono poi ad essere temporizzati. Gli elementi narrativi riguardano più la lore e l’ambientazione che una storia ordinata. Il videogioco a livello di gameplay non possiede una fine. Stesso meccanismo di videogiochi che simulano attività lavorative quotidiane, o strutturati a livello gestionale. IL VALORE DEL RACCONTO Nell’ambito dei videogiochi venduti tradizionalmente la storia è di norma ben definita, talvolta però con dei vuoti/missioni aggiuntive da completare con Dlc. IL RACCONTO DEL VALORE Premiare il videogiocatore vuol dire fidelizzarlo, sfidarlo a superare di volta in volta i propri limiti rigiocando quel titolo. È il caso dei trofie introdotti su X-Box360 e ps3, oltre a le esclusive. Oltre alle card e le monete conquistate su steam.

Conclusione. Content Sphere

Il consumo di video sta crescendo enormemente in modo pervasivo. Non ha più i tempi e gli spazi dedicati ma avviene ovunque e dovunque in qualsiasi momento anche in modo casuale, accompagnato dalla casualità e scambi sociali. E così la vita si mediatizza: le identità individuali e le relazioni interpersonali si danno sempre più a vedere, si fanno rappresentare e si mettono in scena. Ora in questo contesto liquido diffuso la natura e la funzione dei contenuti stessi stanno cambiando pelle. Quattro fattori fondamentali determinano il consumo di contenuti video:

  1. La natura e le caratteristiche tipiche del medium, le forme ed i modi in cui è stato incorporato nelle routine di comportamento. Il grande schermo, la sala buia, sono quello che costituisce un’esperienza cinematografica e che le persone cercano quando vanno al cinema. Il piccolo schermo, la collocazione domestica e la semplicità.
  2. Lo specifico contesto mediale di fruizione. Le destination non sono tutte uguali e le caratteristiche di ciascuna impattano sulla decisione di consumo.
  1. Le caratteristiche intrinseche di prodotto, cioè la qualità di quel particolare film, gli ingredienti di quel programma tv.
  2. A questi tre fattori se ne aggiunge uno ambientale, la proliferazione di schermi urbani rende sempre più frequente l’eventualità di vedere un contenuto video semplicemente perché ci imbattiamo in esso. A partire da queste dinamiche che i diversi fattori esercitano nelle scelte di consumo, si possono individuare 6 contenuti tipo:
  3. C/flusso: vive del radicamento e della forza d’inerzia del medium che lo ospita; e, della sua capacità di agganciare e trattenere chi vi accede. È seriale, sempre disponibile come i programmi daytime (pomeriggio 5).
  4. C/appuntamento: vive sia della capacità del medium che lo integra di radicarsi come abitudine, sia della sua capacità di stabilire una relazione duratura con il pubblico. Ha uno statuto che possiamo definire value , come le serie Beautiful o i programmi icona come Striscia o il Tg.
  5. C/evento: vive della sua capacità di esercitare un richiamo straordinario. Il festival o la finale di coppa.
  6. C/asset: vive dell’appeal che riesce a generare e della capacità di mantenere tale appeal nel tempo. Costituisce un valore patrimoniale a utilità ripetuta come i film delle saghe.
  7. C/brand: vive della sua reputazione di chi lo distribuisce come i film Disney o di Tarantino.
  8. C/attrazione: vive della qualità della distribuzione di cui gode e cioè della capillarità e della frequenza di esposizione. Vive anche della sua capacità di richiamare l’attenzione del pubblico nelle cornici ambientali in cui è diffuso come gli spot pubblicitari. I punti 2,3,4, costituiscono l’industria audiovisiva da anni, e cioè da quando la fruizione di film in sale ha perso la sua natura continuativa ed è invece diventata selettiva, venendo spodestata dalla televisione. Parte terza: produzione

Crisi d’identità. Il cinema italiano e la sfida di un nuovo modello

L’unico elemento definitorio che permette di distinguere il cinema dal resto della produzione resta per ora il prioritario sfruttamento dell’opera nella sala cinematografica. LA TRASFORMAZIONE DEL CONTESTO AUDIOVISIVO E DELLA FILIERA CINEMATOGRAFICA Autori La categoria degli autori è quella che potrebbe beneficiare più della situazione di cambiamento dell’audiovisivo. Autori cinematografici vengono chiamati a fare serie tv, con linguaggio visivo e narrativo che ricorda più l’estetica e la narrazione cinematografica. La serialità è spesso racconto di genere, esplora storie estreme e straordinarie, fa tutto quello che il cinema italiano non ha fatto da tempo e forse per questo perdendo appeal nei confronti di quel pubblico medio che oggi tende a disertare la sala. La televisione complessa non vede più nel ruolo principe il regista, ma lo sceneggiator/scrittore, spesso scrittore seriale consacrato anzitutto nel ruolo di showrunner. Produttori Per questa categoria il passaggio ad una serialità complessa può risultare difficile dal punto di vista organizzativo e societario. I produttori di cinema rischiano di essere minacciati soprattutto le piccole società. L’evoluzione naturale sembra a portare una situazione di consolidamento e

La filiera si rafforza in tutti gli elementi, da monte a valle. Singole aziende svolgono più fattori, operando su più mezzi. Al centro del sistema è il broadcaster. Produzioni Molti grandi gruppi televisivi hanno rafforzato le produzioni made in house con generi come il talk, ed i programmi di flusso del daytime quotidiano. Acquisizioni Negli ultimi anni la distribuzione internazionale si è allargata nelle location e nei generi, con acquisti in blocco per coprire grandi fette di palinsesto. Palinsesti La collocazione dei programmi risente della moltiplicazione sia interna ai gruppo editoriali sia esterna. Si cerca quindi di coordinarsi internamente per evitare il “fuoco incrociato”. Emissione La distribuzione di contenuti è ormai molteplice. Seguire il ciclo di vita dei prodotti coordinandone attentamente la gestione su tutte le piattaforme. Non ci sono regole prefissate, per ogni contenuto si cercano modalità distributive più adeguate. Promozione Branding e promozione diventano sempre più importanti. Ogni testo televisivo diventa una brand. Valutazione Oltre alle classiche valutazioni di sharing entrano in gioco nuovi fattori per lo streaming e la diffusione digitale. Parliamo di awareness ed engagement sui social e rete. La digitalizzazione ha condotto alla semplificazione alcune parti del mestiere tv, ma allo stesso tempo ha aumentato le variabili da considerate nella gestione complessiva delle imprese mediali.

La forma del contenuto. La produzione di intrattenimento, fiction e news tra luci e

ombre

Se da un lato la digitalizzazione ha portato con sé una rivoluzione nella distribuzione dei contenuti, con l’ampliamento e il rafforzamento delle modalità di offerta non lineari è anche vero che la classica tv generalista conserva in impatto di spettatori ancora una grande fetta. Essa stessa ha iniziato un processo di innovazione nella distribuzione e produzione di contenuti. Il primo anello della catena del valore del sistema televisivo, quello della produzione, sembra caratterizzato dalla convivenza di spinte innovative di modelli più tradizionali. Dalla seconda metà degli anni 2000 il bradcasting nazionale entra in una nuova fase di sviluppo: da un alto sono imposte nuove sfide legate al sistema di cambiamento menzionate, dall’altro la tradizionale integrazione verticale sembra in parte allentarsi dato che entrano in gioco delle produzioni indipendenti a prendere la scena (il grande fratello, chi vuol essere milionario). La produzione indipendente si è sviluppata in modo diseguale: è cresciuta l’importanza di un numero ristretto di grandi case attive dalla seconda metà degli anni novanta ma il tessuto produttivo più generale è fatto da piccole imprese a bassa capitalizzazione. Offerta di intrattenimento caratterizzata da una scarsa propensione al rischio che però ne inibiscono la sperimentazione e ne rendono difficile l’esportazione. Produzione di fiction ancora legata ad un mercato interno. I programmi di approfondimento invece hanno subito una trasformazione graduale, grazie alla digitalizzazione che ha impattato profondamente ed ha snellito la filiera razionalizzando le risorse.

IL POTERE DELLE MEGA-INDIE E LA FORZA DEI FORMAT

La produzione di intrattenimento contemporanea è dominata dai format, dove in Europa il mercato generato dai 100 format più popolari ha raggiunto i 2,9 miliardi. Nel 2013 85 canali costituiscono la propria offerta con quasi 340 ore di format. Gruppi sono diventati internazionali per i format (chi vuol essere milionario, il grande fratello, american idol). Il panorama contemporaneo della produzione di intrattenimento si caratterizza per la presenza di super-indie, case di produzione che dominano il mercato dei contenuti audiovisivi in Europa a livello globale come Endemol, Shine, All3media. Il settore della produzione di contenuti è andato incontro a un processo di consolidamento, che ha generato dei giganti e ha reso industrialmente più solido il settore. Queste grandi imprese di produzione sono in grado di affrontare una competizione internazionale e fanno esse stesse da volano per una crescente globalizzazione di contenuti. In Italia se le mega-indie sono portate per lo più a importare e adattare nel nostro paese format di successo globale, il tessuto produttivo di società di produzione nazionali è composto da enti medio-piccoli, fortemente dipendenti dalle commesse dei broadcaster (nel 2001 circa 300 soggetti). SCRIPTED. LA VIA DELL’INTERNALIZZAZIONE E DELLA COPRODUZIONE Segnali più incoraggiati sono emersi nella produzione di fiction. Il segnale di maggiore innovazione viene dagli operatori pay, e dall’altro lato dalla più frequente coproduzione internazionale. L’affacciarsi degli operatori pay su versante della produzione fiction è diretta conseguenza della progressiva crescita di risorse da abbonamento, spinte verso un estensione dell’offerta con la produzione di contenuti originali. In Italia a partire dal 1996 la fiction costituisce un genere essenziale per la televisione generalista e poi anche per la pay. Nel 1998 viene approvata una legge che destina il 10% del tempo di trasmissione e dei ricavi pubblicitari delle reti e il 20% dei ricavi del canone del servizio pubblico alla produzione indipendente. La fiction è uno dei contenuti più qualificanti delle reti generaliste soprattutto di Rai1 e Canale5. Parlare poi di montalbano e mediaset. Dal punto di vista dei linguaggi il quadro della fiction si è fatto sempre più articolato e di sperimentazione dal 2000 in poi. Le miniserie (4-8 episodi) costituiscono un filone tradizionalmente importante (romanzo criminale, I medici). CONCLUSIONI In conclusione l’Italia assomiglia ancora troppo ad un “gigante dormiente”. Alcuni vincoli strutturali rendono il comparto statico. Sulle fiction siamo vivaci con produzione di qualità (don matteo in Giappone). Gomorra. Medici.

Il paradigma “any” ha un costo. Evoluzione della domanda di video online.

La crescita del video trasmesso su internet è determinata da due fattori. Il primo è la distribuzione a banda larga, che consente una trasmissione di maggiore qualità. Il video è aumentato ancora sulle reti mobili, crescendo quasi venti volte tra il 2011 e il 2016. Il secondo fattore è la crescente domanda di servizi di qualità che fornisce un forte incentivo alla produzione di contenuti Hd e Ulta Hd. L’esplosione di contenuti video e di servizio di intrattenimento online ha portato il settore audiovisivo all’era della convergenza. La nuova industria dei contenuti presenta alcune caratteristiche.

  1. La crescita delle relazioni e integrazioni tra i diversi mercati dettata dalle tecnologie digitali.
  2. La conseguente pluralità di soggetti che concorrono alla produzione e alla distribuzione dei contenuti video dagli operatori di accesso ai fornitori di servizi.
  3. Elementi della comunicazione e informazione trasferiti online.