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Una panoramica delle leggi e riforme più importanti in materia di lotta alla corruzione in italia, partendo dalla legge 190/2012 nota come 'legge severino'. Vengono trattate le pressioni internazionali, le riforme di semplificazione e razionalizzazione, il programma triennale per la trasparenza e l’integrità, e la diffusione della cultura digitale. Il documento include anche riferimenti a diverse legislazioni e studi ufficiali.
Tipologia: Notas de estudo
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Capitolo III L'inefficacia delle riforme post Tangentopoli e il fallimento di "Mani
Introduzione Gli anni 90 del secolo scorso, sono stati caratterizzati da uno degli scandali più imponenti che ha profondamente segnato la storia politico istituzionale del nostro paese, la cui onda lunga, come ci dimostrano le cronache recenti, è arrivata paradossalmente indisturbata fino ai giorni nostri. La bomba di Tangentopoli , scoppiata nell’Italia della c.d. _ prima _ Repubblica^1 ,svelando al mondo intero un retroscena assai inquietante che ha interessato il mondo politico, istituzionale ed economico del Belpaese , non ha in nessun modo portato a un’inversione di rotta da parte, in primis, di quello stesso mondo: più che un’ottima occasione per riformare il sistema politico istituzionale ed economico, nell’ottica della massima trasparenza e di un elevato senso dello Stato, le recenti vicende di malaffare (Mose, Expo, Mafia Capitale 2014) ci dimostrano che il sistema ha imparato bene la lezione, soprattutto ha imparato dagli errori commessi, ma a proprio favore. Come spiega Piercamillo Davigo, da Mani Pulite ad oggi c’è stato una sorta di processo di selezione Darwiniana che ha individuato « i ceppi più resistenti agli antibiotici », dove gli antibiotici sono rappresentati dagli organi repressivi che, spiega ancora Davigo, « hanno paradossalmente migliorato la specie predata » 2 Il rovescio della medaglia di questa vicenda, la conseguenza non voluta dagli stessi organi repressivi, è stato dunque l’aver oliato quel sofisticato marchingegno, che non ha visto la luce nell’inverno del ‘92, poiché « ciò che inizia a partire da quel momento, è la straordinaria esposizione pubblica delle vicende di corruzione, ossia lo scandalo (…) » (della Porta Vannucci 1999, p.16). E se ancora oggi la politica si trova sempre a dover fare i conti con una sorta di Tangentopoli 2.0 , significa dunque che le vicende dei primi anni 90 non hanno portato a delle risposte, in termini di riforme, seriamente efficaci ma al contrario a degli interventi puramente di facciata che hanno contribuito a diffondere, in una società sempre più assuefatta dalle vicende di malaffare, una consapevolezza: chi ha la volontà di prendere sul serio la legalità? Il sentimento diffuso sembra essere proprio questo, ossia il fatto che non sembra esserci una volontà condivisa, quanto meno nei fatti, di intervenire seriamente;; al contrario, i (^1) L’espressione in questione, venne utilizzata in maniera impropria rispetto al suo significato etimologico;; venne introdotta in ambito giornalistico, proprio per evidenziare la fase di trasformazione politica tra il 1992 e il 1994, che interessò il sistema dei partiti nonché gli stessi esponenti nazionali, in seguito allo scandalo Tangentopoli. (^2) Vannucci A. “The controversial Legacy of Mani Pulite: A Critical Analisis of Italian Corruption and Anti Corruption Policies”, Bulletin of Italian Politics, Vol.1 No.2 2009, p. 243, nostra traduzione
recenti dibattiti politici in merito al Ddl anticorruzione e, in particolare alla questione relativa al falso in bilancio e alla riforma della ex Cirielli , vale a dire i tempi di prescrizione, dimostrano quella ventennale, ma soprattutto volontaria reticenza di una buona parte della classe politica italiana, nel delineare delle riforme efficaci a riguardo. Ma, se è vero che il potere è ( almeno in alcune sue componenti influenti) criminale, ed essendo il problema, non può – anche essere la soluzione , potrebbero allora esserci altre vie in grado di sollecitare la politica a intraprendere un percorso di riforme che non prescinda da quelli che dovrebbero essere principi cardini di un paese democratico, ossia quelle libertà politiche e civili quali, trasparenza, partecipazione, uguaglianza, Stato di diritto? Ad essere intaccati dalla corruzione sono proprio quei presupposti base di una democrazia, e al contrario di quello che si può comunemente pensare, ossia che il fenomeno interessi prevalentemente paesi in via di sviluppo, dove quei valori e quelle libertà non sono riconosciuti e per questo calpestati, il modello democratico non risulta essere immune dal “virus della corruzione”, anzi, per certi versi sembra quasi crearne un terreno fertile. Si prenda come esempio il ruolo dei partiti politici in un modello democratico: la nostra Carta Costituzionale all’articolo 49 conferisce agli stessi una funzione strumentale rispetto all’attuazione del principio democratico e della sovranità popolare, permettendo così di congiungere la società civile con le istituzioni. Ma i partiti, come è emerso dagli scandali degli anni 90 e anche da quelli più recenti, rappresentano anche la componente più vulnerabile di quel modello, nonché il principale interlocutore della corruzione, cioè « i partiti nel loro indebolimento sono progressivamente diventati scalabili e controllabili da parte di interessi di carattere particolare » 3. Ecco allora che, nella competizione per il potere, non basta più il tradizionale modus operandi della propaganda, e neanche il ruolo dei media risulta essere più sufficiente;; dunque ci si rivolge alla « Dea tangente » 4 nonché ad altri reati strettamente affini alla corruzione come la compravendita di voti, o il clientelismo, per comprare il consenso. (^3) Le parole sono quelle dell’attuale Ministro della Giustizia Andrea Orlandi in occasione di un’intervista nel programma Tv condotto da Gad Lerner su La Effe, “Fischia il vento”, puntata intitolata “Corrotti e impuniti nell’Italia degli scandali.” http://www.repubblica.it/fischiailvento/ (^4) L’espressione è stata pronunciata da Papa Francesco, durante l’omelia di una Messa, nel novembre 2013, nella quale il Pontefice ha espresso parole durissime nei confronti di coloro che portano il “pane sporco” in casa, guadagni frutto di
corruzione dilagante e sistemica ma che, al contrario, ha messo a disposizione di quest’ultima « alcune tendenze comuni alle moderne democrazie come la crescita della quantità di risorse allocate con meccanismi di decisione politica (…) o il moltiplicarsi di centri decisionali » (della Porta Vannucci 1999, p.8).
Le indagini che hanno portato alla vicenda nota a tutti con il nome di Mani pulite , nascono da una circostanza che ha progressivamente, ma soprattutto inaspettatamente, portato gli inquirenti a scoperchiare un “vaso di Pandora”. Nel febbraio del 1992 un imprenditore di una società di pulizie, Luca Magni, racconta ai carabinieri della richiesta fattagli dal presidente socialista del Pio albergo Trivulzio, struttura pubblica per anziani, tale Mario Chiesa, di pagare per ottenere l’appalto all’interno della stessa struttura. Di certo gli inquirenti non si aspettavano, dopo aver colto in flagrante lo stesso Chiesa nell’atto di intascare una mazzetta da sette milioni di lire, che quella sarebbe stata la goccia che ne avrebbe fatto traboccare il vaso, o che, per dirla con parole di uno dei tre magistrati che composero il pool di Mani pulite, Gherardo Colombo, partendo dall’osservare una foglia si sarebbe arrivati all’albero che la sosteneva. Spiega, infatti, l’ex magistrato: «(…) ogni foglia, ogni ramo rappresentano nuovi filoni di indagine, e, l’albero nel suo insieme rappresenta il sistema della corruzione, con radici ben salde quasi in ogni settore dei rapporti tra pubblico e privato » (Colombo G. 2015, p. 21) Utilizzando infatti un metodo sulla falsa riga di quello sperimentato dal giudice Giovanni Falcone, « follow the money », gli inquirenti si trovano di fronte ad un sistema capillare che coinvolge l’organizzazione politica ed economica del Belpaese. Si scopre allora, che l’affidamento di appalti pubblici avviene dietro il pagamento di tangenti, e che tale sistema è tanto normale quanto ben regolamentato, basti pensare all’esistenza di un vero e proprio tariffario delle tangenti;; che il denaro va a “rimpolpare” le casse di alcuni partiti coinvolti nello scandalo come PSI, PCI, DC, PRI, ma anche utilizzato per acquistare tessere d’iscrizione di quei partiti, nonché « garantirsi una scalata al suo interno, ovvero impiegato per godersi una vita agiata, o per assicurarsi un confortevole futuro » (Ivi, p. 32 ). Sembrava un caso isolato, invece, una volta che lo stesso Chiesa abbandonato dai suoi stessi compagni di partito, (Craxi lo definì un «mariuolo»
nel primo periodo, anche perché chi ha commesso quel tipo di reati sente l’ostilità dell’opinione pubblica ed è portato a collaborare » (Ibidem). “La questione morale” sembra dunque tornare al centro delle preoccupazioni non soltanto della stessa opinione pubblica per il tramite dell’operato dei magistrati del pool di Mani pulite, ma anche di quei nuovi partiti che iniziano ad affacciarsi sulla scena politica, il cui distacco dall’ establishment della “prima” repubblica, nonché l’iniziale supporto all’azione del pool, risulterà essere più una strategia, del tutto opportunistica, di “cavalcare” l’onda dell’antipolitica e del malcontento generale, con il solo scopo di ripristinare “quell’ordine precostituito” stravolto dalle indagini, iniziando col riallacciare i rapporti con la stessa società civile: “tutto cambia affinché nulla cambi”, nel migliore spirito “gattopardesco”. Le statistiche di quegli anni, ci rivelano allora la preoccupazione degli italiani per il dilagante fenomeno della corruzione;; nel 1992, la percentuale di coloro che la considerano una “croce” per il nostro modello democratico, è del 60,9% degli intervistati, superando addirittura altri aspetti critici come la disoccupazione, al 29,4% o quello della criminalità (strettamente connesso alla corruzione) al 54,9%. Nel 1996, il 91,8% degli elettori italiani, la considera sempre un problema molto o abbastanza importante, e fra questi, il 30,6% la vede come una delle principali preoccupazioni, a volte secondaria rispetto a quella per la disoccupazione (Belligni, 2000). I dati in questione, mettono in evidenza, in particolare, una delle principali conseguenze della corruzione, che proprio nel periodo di Tangentopoli ha avuto maggiore manifestazione: il costo politico, che chiama in causa il tipo di reazione della società civile dinanzi a quegli scandali. La corruzione, infatti « inquinando la democrazia », corrode, come si accennava più sopra, proprio i suoi capisaldi più importanti, nutrendosi di « alcune tendenze comuni alle moderne democrazie », ma ancor di più, minando la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e degli stessi rappresentanti, scoraggiando impegno civile e partecipazione.
Come accennato più sopra, l’arresto di Mario Chiesa ha rappresentato solo un piccolo tassello che ha scatenato un enorme «effetto domino», e una volta che lo
stesso inizia a collaborare, la valanga di avvisi di garanzia pioverà in capo non solo ad appartenenti al circuito politico, ma anche al mondo degli affari. Mario Chiesa, allora aspirante sindaco di Milano, quando arriva al Trivulzio trasforma in un sistema regolamentato, ciò che prima del suo arrivo era affidato ad un meccanismo “artigianale”: il sistema di appalti e tangenti, era infatti, già presente alla “Baggina”, e Chiesa, portando in “dote” la precedente esperienza maturata nei primi anni settanta presso una struttura ospedaliera milanese, normalizza la prassi (Barbacetto Gomez Travaglio 2012). Il numero di imprese coinvolte è elevato, e il meccanismo si basa su gare truccate a regola d’arte e su cartelli di imprese che per sfuggire al “rischio” concorrenza cedono alle lusinghe della corruzione che diventa per questo una perversa forma di tutela per le stesse: protezione politica dalla concorrenza in cambio del “contributo” economico generato dalla «lottizzazione» degli appalti. L’organizzazione a cartello è il modus operandi utilizzato dalle imprese per muoversi più serenamente, in accordo con i partiti, nell’universo degli appalti pubblici. È una prassi redditizia per le stesse: ci si aggiudica a turno le gare o si partecipa alla spartizione del bottino attraverso i subappalti, in ogni caso chi vince paga ai partiti in base a un vero e proprio tariffario delle tangenti, ma soprattutto si guadagna l’ambita etichetta di “impresa di partito”, (Vannucci 2012 , p.48) una solida garanzia per i futuri affari. Così viene descritto il meccanismo, dietro l’organizzazione a cartello di alcune imprese coinvolte nello scandalo tangentopoli: « Se si guardano gli imprenditori che operano nel settore pubblico, si può percepire una lottizzazione tra costoro, finalizzata alla spartizione del mercato delle commesse pubbliche. Si forma tra di loro una specie di patto di non belligeranza, così che, quando vengono invitati alle gare,(…) hanno già raggiunto un accordo sull’impresa che di volta in volta deve aggiudicarsi gli appalti » (Barbacetto, Gomez, Travaglio 2012, p. 24). Chiesa è come un fiume in piena che rompe gli argini, anche perché le prime confessioni hanno scatenato una vera e propria corsa a confessare in anticipo da parte degli imprenditori coinvolti, nell’intento di scongiurare il rischio arresto e mitigare i danni. Ha inizio ora “quell’effetto domino”, che, come evidenziato da uno dei magistrati, ha permesso l’evolversi delle indagini in “Mani Pulite” (Ivi, p. 17). Così, dal Trivulzio, si arriva ad altre strutture sanitarie e assistenziali, fino ad approdare alla pubblica amministrazione e agli appalti di
In questo modo l’accordo spontaneo e consenziente, oltre a porsi in aperto contrasto con principi cardini di una liberal democrazia, come uguaglianza e trasparenza, finisce col distorcere e inquinare le relazioni di mercato;; pertanto, a subirne l’esito negativo, è lo stesso principio di concorrenza, giacché imprese senza scrupoli, spesso inefficienti ma astute e abili nel tessere rapporti di fiducia ed elargire buoni compensi, hanno la meglio su chi rispetta le regole del gioco della concorrenza. Inoltre a pagarne le conseguenze sono gli stessi cittadini, non solo nella loro veste di contribuenti, dal momento che i prezzi per realizzare opere pubbliche subiscono un incremento esagerato (basti pensare al costo dei lavori per la linea 3 della metropolitana di Milano: 192 miliardi di lire contro gli “appena” 45 per la metro di Amburgo), il cui onere ricade proprio in capo agli stessi, ma anche come utenti/utilizzatori finali di servizi spesso scadenti, superflui o, addirittura, eterni incompleti, la cui realizzazione appaga solo gli “appetiti monetari” di politici e imprenditori insaziabili. Il “sistema”, poi, arriva a coinvolgere anche le più importanti aziende di Stato come Enel, Anas, o l’Iri, l’ente pubblico istituito in epoca fascista al fine di evitare il crollo dell’economia italiana, messa a dura prova dalla crisi del 1929, che negli anni ottanta è stato al centro di indagini per dei fondi neri provenienti da due società dello stesso ente. Le indagini sullo scandalo finanziario, che ebbero inizio proprio alla procura di Milano, avrebbero probabilmente permesso già da allora di portare alla luce il sistema di corruzione tangentopoli, ma per un presunto conflitto di competenza, furono trasferite alla procura di Roma (come successe poco tempo prima per il caso P2), nota con l’appellativo di “ porto delle nebbie ”, per via di casi clamorosamente insabbiati. Ma sono soprattutto le indagini che coinvolgono l’Eni, ad attirare maggiormente l’attenzione degli inquirenti e dell’opinione pubblica, e far emergere quella che è stata definita “ la madre di tutte le tangenti ”, riconducibile allo scioglimento della joint venture , tra la allora chimica pubblica Eni e quella privata Montedison, ossia “l’affare” Enimont. Lo scioglimento comportò per le casse dello stato una spesa esagerata: le azioni Enimont furono infatti riacquistate dall’Eni pagando un prezzo spropositato, quantificato in circa 600 miliardi di lire in sovrappiù rispetto al reale valore di mercato. E fu quell’operazione a destare il sospetto del pagamento di una maxitangente, “ la madre ” appunto, quantificata in 15 0 miliardi di lire, che sarebbero finite, per il tramite di un faccendiere, nelle mani dei più importanti partiti di maggioranza (Barbacetto, Gomez, Travaglio 2012, pp.
180 200). Tali indagini ebbero poi, come esito inaspettato e tragico, il suicidio dei rispettivi presidenti delle due aziende che scatenarono una delle prime offensive della politica contro l’operato del pool. Nel frattempo, come per contagio, iniziano ad indagare le procure da nord a sud dell’Italia, rilevando sempre quello stretto legame tra politica e affari, che dimostra la pericolosa sistematicità e pervasività del fenomeno. Un altro pilastro portante del sistema tangentopoli è il ruolo dei c.d. cassieri e faccendieri di partito. Nella loro veste di cassiere, il compito è quello di coordinare il flusso di tangenti dal momento della raccolta presso gli imprenditori, fino alla spartizione, in base alle percentuali preventivamente pattuite, ai principali partiti di maggioranza e anche a quelli minori. Così allora, erano state fissate le percentuali delle tangenti provenienti da ogni appalto per la realizzazione della metropolitana di Milano: «37,5% al Psi, 18,75 al Pci Pds, altrettanto alla Dc, il 17 al Psdi, l’8% al Pri» (Ivi, p. 23). Abili tessitori di relazioni sociali, spesso liberi professionisti con regolare tessera di partito, i faccendieri o mediatori, dispongono di un capitale sociale fatto di elevata affidabilità, competenze tecniche ma soprattutto informazioni riservate, che discendono da quello scarso grado di trasparenza amministrativa, che spinge, imprenditori in primis, a cercare protezione e mediazione da questa figura, la quale permette così ai potenziali contraenti di accertarsi sull’affidabilità reciproca al fine di instaurare vantaggiosi affari. Il “sistema Tangentopoli” è ricco di questi personaggi presenti all’interno dei principali partiti di maggioranza, i quali dispongono, ciascuno, anche di più di una figura che ricopre tale ruolo. Ingranaggio fondamentale di un sofisticato marchingegno, con regole e precise suddivisioni di compiti e di ruoli, il faccendiere sarà una figura centrale anche per le indagini di “Mani Pulite”;; “gola profonda” che permetterà agli inquirenti di portare alla luce un mondo parallelo e parassita rispetto a quello istituzionale. È questo dunque il contesto dove trova origine quell’attrito tra politica e magistratura, e le ragioni sono sostanzialmente due: da un lato l’offensiva delle indagini che investe il mondo della politica e dell’economia, andando a toccare da vicino esponenti di partito, ministri, ex presidenti del consiglio;; dall’altra, come si è già accennato più sopra, il supporto che l’opinione pubblica dà ai magistrati togliendolo inevitabilmente alla classe politica e scatenando, così, una
che si inserisce un secondo processo di trasformazione, ossia l’emergere della sfera pubblica libera e pluralista ;; una cerchia spesso ristretta composta da appartenenti alla classe politica, intellettuali, associazioni, giornalisti, opinionisti, appartenenti al mondo dell’economia, che rappresenta un contesto autonomo rispetto a quelli dove tradizionalmente si incontrano le idee e si prendono le decisioni, e la cui attività, oltre a condizionare e a riflettersi sulla sfera elettorale, produce un bene prezioso per la classe politica: il riconoscimento politico. Tale modello, come osserva Pizzorno, conduce a quella che viene definita politica programmatica , dove i partiti, condizionati ora anche da una più ampia e variegata platea elettorale (suffragio universale), si fanno portatori di programmi finalizzati a riorganizzare la società, e spingono verso un nuovo tipo di legislazione organizzatrice, che ora abbraccia diversi settori della vita sociale dando vita così allo Stato sociale. Per questo la legge passa da essere generale e astratta, a programmatica e specifica, comportando così non solo un aumento del flusso legislativo, ma anche degli organi istituzionali autorizzati a emanare norme. A questa espansione normativa corrisponde allora anche un cambiamento delle funzioni espletate dal potere giudiziario, che si ritrova ora a dover far i conti con un’area soggetta all’attività giudicante, decisamente più ampia. A questo punto, Pizzorno, rileva un’ulteriore trasformazione del tradizionale assetto rappresentativo, che sfocerà proprio nel conflitto tra i due poteri. Il Parlamento continua a perdere le sue funzioni originarie, soprattutto quella di indirizzo politico, a vantaggio di un governo sempre più unico protagonista della vita istituzionale e politica, che schiaccia così anche il potere dell’opposizione, la quale, non solo non è più in grado di supervisionare il suo operato ma troverà «più conveniente negoziare che denunciare» (Ivi, p.63);; a questo si aggiunga poi anche il ruolo centrale dei media, quale contesto dove ora si svolge il dibattitto pubblico dei grandi temi politici, impoverendo ulteriormente il Parlamento delle sue funzioni. È qui, secondo Pizzorno, che inizia a intervenire il potere giudiziario, per compensare alla debole presenza del Parlamento, e quindi dell’opposizione, e arginare lo strapotere del governo. Altro cambiamento rilevante messo in evidenza è il passaggio da una politica programmante a una moraleggiante , dove, osserva Pizzorno, si sceglie l’immagine di una persona, un simbolo: da un lato il cittadino, tende a identificarsi con simboli e tematiche morali, dall’altra il dibattito politico si concentra proprio su
quei temi, cercando così di catturare il consenso. Così si è arrivati alla personalizzazione della politica, dove si dà importanza all’etica dell’uomo politico, più che alle sue doti politiche e amministrative. Anche la sfera pubblica è interessata da tali cambiamenti, per il tramite dei media, i quali svolgono un ruolo fondamentale in questa fase di “personalizzazione”, giacché contribuiscono a mettere in risalto la persona, più che le sue capacità. Questa “personalizzazione” non è, ora, di solo appannaggio della classe politica come lo era un tempo, bensì anche di altre figure, fra le quali quella dei magistrati. Tutte queste trasformazioni hanno poi influenzato anche la natura della partecipazione alla politica;; quella motivazione ideologica alla base di una partecipazione militante, cede ora il passo a una motivazione arrivistica , carrieristica e, conseguentemente, anche l’impegno politico da volontario diviene sempre più remunerato. È a questo punto, come evidenzia Pizzorno, che i partiti passano dall’autofinanziamento a finanziamenti da fonti extrapolitiche ;; dal secondo dopoguerra in poi, infatti, i costi che i partiti politici affrontano diventano via via sempre più consistenti, così da richiedere contributi da parte di enti economici pubblici o parastatali, nonché di grandi gruppi industriali. È qui che iniziano a nascere le “collaborazioni” tra il mondo degli affari e la politica, ovvero quello che poi si rivelerà l’habitat ideale per la corruzione, tant’è che è proprio negli anni settanta che scoppiano i primi scandali legati ai contributi versati alla politica dalle grandi lobby economiche;; è così che nel maggio del 1974 per scongiurare il pericolo corruzione e concussione da parte dei grandi gruppi economici, viene approvata la legge n. 195 (c.d. Piccoli) sul finanziamento pubblico ai partiti. Questi cambiamenti, che si sono intensificati a partire dal secondo dopoguerra, sono quelle cause endogene al sistema giudiziario che hanno spinto verso una progressiva espansione del suo potere. In particolare il potere giudiziario inizia a sopperire alla debolezza di un Parlamento, e quindi di un’opposizione, oramai relegati a un ruolo puramente formale ma soprattutto, con il passaggio a una politica moralizzante , dove si da maggiore attenzione all’etica e non tanto alle capacità politiche e dinanzi a una corruzione dilagante, l’espansione del potere giudiziario si manifesta allora come controllo di virtù.
arginare la minaccia di quella sfera pubblica ma anche per far fronte all’emergenza terrorismo, piaga degli anni settanta. Così, la collaborazione tra i due protagonisti della scena politica di quegli anni, fu tale da congelare completamente la funzione di sorveglianza, peraltro già fragile, che l’opposizione esercitava nei confronti dell’operato del governo;; un controllo assente nonostante negli anni ottanta quel consociativismo che aveva dominato il decennio precedente fosse venuto meno. Dall’altra parte, il sistema giudiziario, e in particolare il suo organo di autogoverno, fu stravolto da tali eventi;; la componente più anziana e “allineata” vede ridurre la sua egemonia dinanzi alle nuove leve di magistrati influenzati da quei movimenti studenteschi. Né scaturì così, un conflitto ideologico all’interno dell’Associazione nazionale magistrati che dominò per tutto il decennio successivo, mutando la composizione del CSM, che con un nuovo metodo di elezione, vide l’ingresso proprio di quelle nuove leve della magistratura. Questi cambiamenti interni al sistema giudiziario, uniti alla debolezza di un’opposizione succube di un governo unico protagonista della vita politica, nonché all’indebolimento della motivazione ideologica( Ivi, p. 73 ) che disincentiva l’autocontrollo dell’etica nella classe politica, fanno si che ad esercitare quel controllo di virtù sia ora la magistratura. Il progressivo protagonismo della magistratura nello scenario politico italiano, inizia così a manifestare la sua forza nella lotta alla piaga del terrorismo e della mafia, rispetto alle quali la classe politica si rivelerà inerte e inoperosa;; così la magistratura, assumendo le veci dello Stato in questa battaglia che la vedrà tra l’altro più volte tristemente coinvolta da episodi di stragismo, inizia ad acquistare fiducia da parte di una società civile sempre più attiva sostenitrice di questa battaglia. Oramai agli occhi dell’opinione pubblica, anche causa di quegli episodi di stragismo nei confronti dei giudici che scatenarono una manifesta indignazione popolare, la classe politica era bollata come corrotta e complice di un sistema di malaffare che a poco a poco la magistratura stava scoperchiando. La collisione tra le due navi, nel bel mezzo di una tempesta, era ora avvenuta, e si aggravò ulteriormente quando la magistratura, proseguendo sempre con il suo controllo di virtù, si imbatté nello scandalo di Tangentopoli. In verità, la scoperta dell’intreccio tra politica e affari risale già agli anni settanta, quando in piena crisi petrolifera, si scopre un consolidato sistema di tangenti tra
imprenditori di quel settore, parlamentari e addirittura ministri 2 ;;prosegue poi con le indagini che nei primi anni ottanta portano alla scoperta di un sistema parallelo che interferisce con l’attività istituzionale, ossia la loggia massonica P2, alla quale prendono parte, fra gli altri, esponenti del mondo della politica, arrivando poi a quelle sui fondi occulti provenienti da due società appartenenti all’ente pubblico IRI. (Colombo 2015 pp. 14 16). Già in occasione di queste indagini la politica manifesta la sua insofferenza di fronte all’ingerenza dei giudici, sferrando un contrattacco supportato dai livelli più alti di quella parte della magistratura collusa con la classe politica, che oltre a fare da scudo alle indagini, partecipa anche alla spartizione delle tangenti (della Porta Vannucci 1999). Si mette allora in discussione l’indipendenza del potere giudiziario dall’esecutivo (già dalle carte segrete della P2 era emerso il progetto di porvi fine), fino a toccare uno dei temi più scottanti, tanto caro a quella classe politica che non vede di buon occhio l’attivismo giudiziario e che nel corso dei decenni tornerà al centro del dibattito pubblico: la responsabilità civile dei magistrati, oggetto di un referendum nel 1988 con il quale si cercò di indebolire proprio quell’attivismo. (Pizzorno 1998, p. 89) Nonostante questo tentativo, l’esercizio del controllo di virtù da parte della magistratura porterà comunque a scoperchiare il sistema Tangentopoli, non solo grazie al supporto dell’opinione pubblica, ma anche a « una riduzione della politicizzazione della magistratura, intesa come deferenza verso i politici » (della Porta Vannucci 1999, p.55). E anche in questo caso la controffensiva della politica non si fece attendere, sebbene nei primi anni delle indagini l’atteggiamento della stessa sia stato di smarrimento;; così, le iniziative contro il pool andranno dal discredito personale nei confronti degli stessi, minacce di attentati, denunce da parte di esponenti del governo per attentato alla Costituzione, ordini di ispezioni in procura, fino ad arrivare a interventi legislativi contenenti proposte di amnistia per i politici coinvolti negli scandali di corruzione. La progressiva espansione del potere giudiziario in Italia, come accennato più sopra, presenta delle specificità che vanno oltre la garanzia costituzionale dell’indipendenza dal potere politico. In particolare, come osserva Pizzorno, l’essere stata incaricata del compito di risolvere un triplice problema sociale, come (^2) http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/05/lo scandalo dei petroli e la lezione di un politico vero sandro pertini/1143745/