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DOMANDE FREQUENTI DIRITTO PUBBLICO, Schemi e mappe concettuali di Diritto Pubblico Comparato

bastano per il superamento dell esame.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 16/06/2025

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DIRITTO PUBBLICO
IL PRINCIPIO DEMOCRATICO-REPUBBLICANO
Il principio democratico-repubblicano è espresso nell’articolo 1.1 Cost. L’articolo di apertura della
Costituzione italiana esprime l’essenza stessa della Repubblica, affermando il principio democratico e
sancendo il riconoscimento della forma di Stato repubblicana, basata sulla sovranità popolare.
L’espressione “Repubblica democratica significa che tutti i cittadini hanno il diritto a quelle libertà che
nessuno può violare né limitare. Inoltre, il Costituente ha sancito il riconoscimento del valore del lavoro,
inteso come fondamento dello Stato ed importante strumento democratico di sviluppo della personalità
umana, nonché mezzo per stimolare e far crescere il progresso materiale e spirituale della società.
IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA
Il principio di eguaglianza è disciplinato dall’articolo 3 Cost. Nel primo comma viene espresso il principio
di eguaglianza formale, nonché una serie di specifici divieti di discriminazione (il cosiddetto nucleo forte
dell’eguaglianza), mentre nel secondo comma vi è il principio di eguaglianza sostanziale:
L’eguaglianza formale prescrive che si devono trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo
diverso situazioni diverse. Questo principio sta all’origine del controllo di ragionevolezza delle leggi,
che è diventato lo schema che domina larga parte dei giudizi della Corte costituzionale sulla
legittimità delle leggi;
Il nucleo forte del principio di eguaglianza vieta distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personale e sociali. Tale nucleo non comporta un divieto assoluto
al legislatore di introdurre differenziazioni basate sui fattori indicati, ma vieta di farne il motivo di
una discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà;
Il principio di eguaglianza sostanziale punta esattamente a rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale” che impediscono l’eguale godimento dei diritti e delle libertà. È un programma
d’intervento quello che la Costituzione indica nel legislatore, che ha il compito di eliminare, appunto
gli handicap sociali. Ma questo compito può essere assolto soltanto derogando al principio di
eguaglianza formale.
Il contrasto tra questi due principi è stato spesso enfatizzato come l’inconciliabile contrasto tra lo Stato
liberale, basato sull’eguaglianza formale, e lo Stato sociale, rivolto all’eguaglianza sostanziale.
I due principi di eguaglianza si limitano e si completano a vicenda: quello sostanziale impedisce l’eccesso
di rigore dell’eguaglianza formale, quello formale impedisce alle azioni “positive” di diventare a loro volta
fonte di ingiustizia, dando luogo a casi di “discriminazione all’incontrario” (reverse discrimination). Il punto
di equilibrio viene stabilito dal giudizio di ragionevolezza.
La tutela dei diritti della donna lavoratrice, il suffragio universale, la parità fra i sessi sono alcuni tra i mezzi
per assicurare l’uguaglianza effettiva dei cittadini per il pieno sviluppo della persona umana.
LA SOVRANITÀ NELLA COSTITUZIONE
La sovranità può definirsi come quel potere d’imperio originario, in quanto sorge con la nascita dello Stato
stesso, esclusivo, poiché compete solamente ad esso, ed incondizionato, dal momento che non incontra
alcun limite giuridico all’interno del territorio nazionale.
Essa ha due aspetti: interno ed esterno. Quello interno consiste nel supremo potere di comando in un
determinato territorio, che è tanto forte da non riconoscere nessun altro potere al di sopra di sé. Quello
esterno consiste, invece, nell’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro Stato. I due aspetti sono
strettamente intrecciati: lo Stato non potrebbe vantare il monopolio della forza legittima e quindi il supremo
potere di comando su un dato territorio se non fosse indipendente da altri Stati.
Dopo l’affermazione dello Stato moderno, si è posta la questione di chi esercitasse effettivamente il potere
sovrano. A tal proposito sono state poste tre teorie:
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DIRITTO PUBBLICO

IL PRINCIPIO DEMOCRATICO-REPUBBLICANO

Il principio democratico-repubblicano è espresso nell’ articolo 1.1 Cost. L’articolo di apertura della Costituzione italiana esprime l’essenza stessa della Repubblica, affermando il principio democratico e sancendo il riconoscimento della forma di Stato repubblicana, basata sulla sovranità popolare. L’espressione “Repubblica democratica” significa che tutti i cittadini hanno il diritto a quelle libertà che nessuno può violare né limitare. Inoltre, il Costituente ha sancito il riconoscimento del valore del lavoro, inteso come fondamento dello Stato ed importante strumento democratico di sviluppo della personalità umana, nonché “mezzo” per stimolare e far crescere il progresso materiale e spirituale della società.

IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA

Il principio di eguaglianza è disciplinato dall’ articolo 3 Cost. Nel primo comma viene espresso il principio di eguaglianza formale, nonché una serie di specifici divieti di discriminazione (il cosiddetto nucleo forte dell’eguaglianza), mentre nel secondo comma vi è il principio di eguaglianza sostanziale:

  • L’eguaglianza formale prescrive che si devono trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse. Questo principio sta all’origine del controllo di ragionevolezza delle leggi, che è diventato lo schema che domina larga parte dei giudizi della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi;
  • Il nucleo forte del principio di eguaglianza vieta distinzioni “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personale e sociali”. Tale nucleo non comporta un divieto assoluto al legislatore di introdurre differenziazioni basate sui fattori indicati, ma vieta di farne il motivo di una discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà;
  • Il principio di eguaglianza sostanziale punta esattamente a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che impediscono l’eguale godimento dei diritti e delle libertà. È un programma d’intervento quello che la Costituzione indica nel legislatore, che ha il compito di eliminare, appunto gli handicap sociali. Ma questo compito può essere assolto soltanto derogando al principio di eguaglianza formale. Il contrasto tra questi due principi è stato spesso enfatizzato come l’inconciliabile contrasto tra lo Stato liberale, basato sull’eguaglianza formale, e lo Stato sociale, rivolto all’eguaglianza sostanziale. I due principi di eguaglianza si limitano e si completano a vicenda: quello sostanziale impedisce l’eccesso di rigore dell’eguaglianza formale, quello formale impedisce alle azioni “positive” di diventare a loro volta fonte di ingiustizia, dando luogo a casi di “discriminazione all’incontrario” (reverse discrimination). Il punto di equilibrio viene stabilito dal giudizio di ragionevolezza. La tutela dei diritti della donna lavoratrice, il suffragio universale, la parità fra i sessi sono alcuni tra i mezzi per assicurare l’uguaglianza effettiva dei cittadini per il pieno sviluppo della persona umana.

LA SOVRANITÀ NELLA COSTITUZIONE

La sovranità può definirsi come quel potere d’imperio originario, in quanto sorge con la nascita dello Stato stesso, esclusivo, poiché compete solamente ad esso, ed incondizionato, dal momento che non incontra alcun limite giuridico all’interno del territorio nazionale. Essa ha due aspetti: interno ed esterno. Quello interno consiste nel supremo potere di comando in un determinato territorio, che è tanto forte da non riconoscere nessun altro potere al di sopra di sé. Quello esterno consiste, invece, nell’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro Stato. I due aspetti sono strettamente intrecciati: lo Stato non potrebbe vantare il monopolio della forza legittima e quindi il supremo potere di comando su un dato territorio se non fosse indipendente da altri Stati. Dopo l’affermazione dello Stato moderno, si è posta la questione di chi esercitasse effettivamente il potere sovrano. A tal proposito sono state poste tre teorie:

  • Secondo la prima teoria, verso la fine dell’ 800 , lo Stato veniva configurato come una persona giuridica, cioè come un vero e proprio soggetto di diritto, titolare della sovranità. Questa tesi, da una parte, in Paesi di recente unità nazionale, serviva a dare una legittimazione di carattere oggettivo allo Stato e quindi era utile al rafforzamento di ancora deboli identità nazionali, dall’altra parte poteva risolvere il conflitto tra il principio monarchico e quello popolare;
  • La sovranità della Nazione è stata una delle invenzioni più importanti del costituzionalismo francese dopo la rivoluzione del 1789. L’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino affermava che “la sovranità appartiene alla Nazione da cui emanano tutti i poteri”. Dunque, veniva meno la sovranità del Re e non vi era più la divisione del Paese in ordini e ceti sociali ma, al loro posto, subentravano i singoli cittadini eguali, unificati politicamente nell’entità collettiva chiama Nazione;
  • Rousseau, invece, affermava il principio della sovranità popolare in quanto faceva coincidere la sovranità con la volontà generale del popolo, che a sua volta era identificata con la volontà del popolo sovrano, ossia dell’insieme dei cittadini considerati come un ente collettivo. La sovranità popolare, enunciata nell’ articolo 1.2 Cost. , ha perso però quel carattere di assolutezza a causa di tre circostanze:
  • La prima è che la sovranità popolare non si esercita direttamente ma viene inserita in un sistema rappresentativo basato sul suffragio universale;
  • La seconda riguarda la diffusione di Costituzioni rigide che hanno un’efficacia superiore alla legge e possono essere modificate solo attraverso procedure molto complesse;
  • La terza riguarda la preminenza della Costituzione che viene garantita, di regola, dall’opera di una Corte costituzionale. Un altro limite della sovranità è costituito dall’affermazione di organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), istituita nel 1945 con la finalità principale di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Inoltre, la limitazione della sovranità statale diventa più evidente con la creazione in Europa di Organizzazioni sovranazionali.

LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO NELLA COSTITUZIONE

In certi casi la Costituzione riconosce a tutti la tutela dei diritti, in altri casi solo ai cittadini. Il problema che sorge è se e in quale misura i diritti che la Costituzione riserva espressamente ai cittadini possano essere estesi agli stranieri: l’ articolo 10.2 Cost. pone per la condizione giuridica dello straniero una riserva di legge rinforzata per contenuto. Attraverso un doppio meccanismo, l’interpretazione dei diritti inviolabili alla luce dell’ articolo 2 Cost. , e quindi come diritti inviolabili dell’uomo e non del solo cittadino, e l’applicazione delle garanzie riconosciute agli stranieri in base ai trattati internazionali, a cui le leggi sono vincolate in forza dell’ articolo 10 Cost. , la Corte costituzionale è giunta ad affermare il principio per cui la garanzia dei diritti inviolabili si estende allo straniero anche laddove la Costituzione li attribuisce ai soli cittadini. Tuttavia, occorrono due precisazioni:

  • L’estensione opera nei confronti dei soli diritti inviolabili, per gli altri si continua ad applicare la regola fissata dall’articolo 16 delle Preleggi che ammette lo straniero a godere dei “diritti civili attribuiti al cittadino” a condizione di reciprocità. Quindi bisognerà dimostrare che la legislazione del Paese da cui lo straniero proviene riconosce lo stesso diritto ai cittadini italiani;
  • L’eguaglianza dello straniero nel godimento dei diritti inviolabili è un principio, non una regola tassativa. Ciò significa che il legislatore può prevedere degli oneri o delle limitazioni particolari a carico degli stranieri, purché essi siano ragionevolmente giustificabili sulla base della loro particolare condizione di straniero. Il diritto d’asilo è un diritto soggettivo riconosciuto dall’ articolo 10.3 Cost. allo straniero di trovare rifugio nel territorio italiano. Si differenzia dall’asilo diplomatico che si ha quando una persona si rifugia in un’ambasciata straniera esistente nel territorio del suo paese.

→ Allo straniero o all’apolide che risieda legalmente in Italia da almeno 3 anni, se ha un ascendente che sia stato cittadino italiano per nascita o che è nato in Italia,; da almeno 4 anni ed è cittadino di uno Stato della Ue; da almeno 5 anni dopo l’adozione da parte di un cittadino italiano legalmente residente in Italia ed è maggiorenne; da almeno 10 anni in tutti i casi che non rientrano in quelli indicati in precedenza; → Allo straniero che abbia prestato il servizio militare, anche all’estero, per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato italiano. Il cittadino italiano che acquista la cittadinanza di un altro Stato non perde quella italiana, per cui si possono verificare casi di doppia cittadinanza. La perdita della cittadinanza può avvenire:

  • Per rinunzia: rientra in questo caso il cittadino che possieda, acquisti o riacquisti una cittadinanza straniera qualora risieda o abbia deciso di stabilire la propria residenza all’estero;
  • Automaticamente in presenza di alcune condizioni: rientra in questo caso il cittadino, che volgendo funzioni alle dipendenze di uno Stato estero, intenda conservare questa posizione nonostante l’intimazione del Governo italiano a cessare tale rapporto di dipendenza. La cittadinanza perduta può essere riacquistata:
  • Se, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all'estero, dichiara di volerla riacquistare;
  • Se dichiara di volerla riacquistare ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;
  • Dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine;
  • Se dichiara di volerla riacquistare e provi di aver abbandonato l'impiego, la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l'intimazione del Governo, che avevano determinato la perdita della cittadinanza, sempre che abbia stabilito la residenza da almeno 2 anni nel territorio della Repubblica. Il Trattato sull’Unione europea del 1992 (Trattato di Maastricht) ha introdotto l’istituto della cittadinanza dell’Unione il cui presupposto è la cittadinanza di uno Stato membro. Tale cittadinanza comporta una serie di norme e diritti ben definiti, che si possono raggruppare in quattro categorie:
  • La libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio dell'Unione;
  • Il diritto di votare e di essere eletto alle elezioni comunali e a quelle del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza;
  • La tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro in un paese terzo nel quale lo Stato di cui la persona in causa ha la cittadinanza non è rappresentato;
  • Il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo e ricorsi al mediatore europeo.

I RAPPORTI TRA LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE

Lo Stato moderno nasce e si afferma in Europa tra il XV ed il XVII secolo, comportando un processo di secolarizzazione al termine del quale è stato raggiunto il riconoscimento della laicità dello Stato: vi è una separazione tra la sfera politica e quella religiosa e, quindi, il riconoscimento della libertà di religione come fondamentale diritto dei cittadini. Dal XIX secolo i rapporti tra lo Stato e la religione oscillarono tra due poli opposti:

  • Da una parte c’era il regime confessionale, secondo cui la chiesa è depositaria di un patrimonio di verità ultime all’essere umano che doveva estendersi all’intera società;
  • Dall’altra parte c’era il regime della separazione tra lo Stato e la Chiesa, ciascuno costituente un’istituzione autonoma nel proprio campo di azione. L’esigenza di prevenire il conflitto tra di essi portò all’instaurazione di un regime concordatario in base al quale lo Stato e la Chiesa regolano i loro rapporti con uno speciale trattato, il concordato. La Costituzione italiana riconosce nell’ articolo 7 Cost. la separazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica e la tutela costituzionale al regime concordatario. I Patti Lateranensi sono il primo Concordato stipulato tra lo Stato e la Chiesa cattolica nel 1929. Tuttavia, la garanzia costituzionale del regime concordatario non

significa escludere la garanzia del pluralismo religioso e la laicità dello Stato italiano: ciò viene, infatti, assicurato dall’ articolo 3.1 Cost. e dall’ articolo 8 Cost. Dunque, in Italia esiste il principio di laicità, elaborato soprattutto dalla giurisprudenza costituzionale, ed anche la tutela della libertà di coscienza.

LA NASCITA DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA

La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato, stabilisce i principi che sono alla base dell'ordinamento giuridico ed i caratteri essenziali dell'organizzazione politica ed è la fonte primaria della scala giuridica delle fonti del diritto. La Costituzione italiana è nata grazie a delle condizioni assai particolari. Dopo che vent’anni di fascismo, guerre ed eventi internazionali avevano radicalmente mutato l’organizzazione sociale e l’assetto politico del Paese, i membri dell’Assemblea Costituente (556), eletti per la prima volta, non sapevano quale esito avrebbero avuto le prime elezioni politiche che qualche anno dopo avrebbero avviato l’ordinario corso della nuova vita costituzionale italiana. La paura di soccombere ha prevalso sul desiderio di imporsi: perciò, vi fu un’attenzione assoluta per i diritti delle minoranze, la scelta per il sistema parlamentare e per il sistema delle garanzie costituzionali. La nascita della Costituzione italiana fu il frutto di tappe successive:

  • 25 giugno 1944: viene emanato il decreto legislativo luogotenenziale n°151 che dota lo Stato italiano di un ordinamento provvisorio, caratterizzato dalla funzione esplicita di preparare la formazione di un rinnovato stabile assetto costituzionale;
  • 16 marzo 1946: viene introdotto un nuovo decreto luogotenenziale n°98. Si stabilisce che a decidere la nuova forma istituzionale dello Stato (Monarchia o Repubblica) sarà direttamente il popolo italiano, mediante un referendum istituzionale a cui parteciperanno, per la prima volta, anche le donne. In precedenza si era delegata tale decisione all’Assemblea Costituente;
  • 2 giugno 1946: si svolgono le elezioni per l’Assemblea Costituente ed il referendum istituzionale: → 12.717.923 voti per la Repubblica (54,3 %); → 1 0.719.284 voti per la Monarchia (45,7 %);
  • 28 giugno 1946: l’Assemblea Costituente elegge Enrico De Nicola Capo provvisorio dello Stato;
  • 15 luglio 1946: l’Assemblea Costituente decide di nominare, al suo interno, una Commissione di 75 membri (la Commissione dei 75), presieduta da Meuccio Ruini, incaricata di elaborare e proporre un progetto di Costituzione. Questa commissione era divisa in tre sottocommissioni che dovevano occuparsi dei diritti e dei doveri dei cittadini, dell’ordinamento della Repubblica e dei diritti e dei doveri economico-sociali;
  • 31 gennaio 1947: la Commissione dei 75 presenta il progetto di Costituzione;
  • Dal 4 marzo al 22 dicembre 1947: l’Assemblea discute il progetto;
  • 22 dicembre 1947: l’Assemblea Costituente approva la Costituzione a scrutinio segreto (453 si, 62 no);
  • 27 dicembre 1947 : il testo costituzionale viene promulgato nell’edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale n°298 dal capo provvisorio dello Stato;
  • 1° gennaio 1948: la Costituzione italiana repubblicana entra in vigore. La Costituzione italiana si definisce:
  • Votata: è stata deliberata dal popolo mediante l’elezione di un’Assemblea Costituente;
  • Scritta: i principi e gli istituti fondamentali dell'organizzazione dello Stato sono contenuti in un documento formale (il testo costituzionale) e perché è espressamente prevista la forma scritta per le leggi che regolino la materia costituzionale;
  • Rigida: alle norme in essa contenute è stata assegnata un'efficacia superiore a quella delle leggi ordinarie, in modo che le leggi che modificano la Costituzione e le leggi in materia costituzionale devono essere adottate dal Parlamento non con il procedimento di formazione delle leggi ordinarie ma con una procedura aggravata ( articolo 138 Cost. ), ed, inoltre, le disposizioni aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione vengono rimosse con un procedimento innanzi alla Corte costituzionale;

LA CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE

LIBERTÀ FONDAMENTALI

La Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali è una Convenzione internazionale redatta e adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa. È stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai 13 Stati al tempo membri del Consiglio d'Europa ed è entrata in vigore in Italia il 10 ottobre del 1955, dopo una lunga elaborazione giurisprudenziale. La CEDU è considerata il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell'uomo perché è l'unico dotato di un meccanismo giurisdizionale permanente che consenta a ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti garantiti dalla CEDU, attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo. I Governi firmatari, membri del Consiglio d’Europa, considerata la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, che mira a garantire il riconoscimento e l’applicazione universali ed effettivi dei diritti che vi sono enunciati e considerato che il fine del Consiglio d’Europa è quello di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri attraverso anche la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, hanno convenuto, all’interno dei 59 articoli, l’obbligo di rispettare i diritti dell’uomo, il diritto alla vita, la proibizione della tortura, la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato, il diritto alla libertà e alla sicurezza ed il diritto ad un equo processo.

LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), in Italia anche nota come Carta di Nizza, è stata solennemente proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo dal Parlamento, il Consiglio e la Commissione. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ai sensi dell'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come vertice dell'ordinamento dell'Unione europea. Essa risponde alla necessità, emersa durante il Consiglio europeo di Colonia (3 e 4 giugno 1999 ), di definire un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale rilevanza e di fede che fossero garantiti a tutti i cittadini dell'Unione. Il progetto è stato elaborato da un'apposita Convenzione presieduta da Roman Herzog, ex presidente della Repubblica federale tedesca, e composta di 62 membri: 15 rappresentanti dei capi di Stato e di Governo degli Stati membri, 1 rappresentante della Commissione europea, 16 membri del Parlamento europeo e 30 membri dei Parlamenti nazionali. La Carta enuncia i diritti e i principi che dovranno essere rispettati dall'Unione in sede di applicazione del diritto comunitario. L'attuazione di tali principi, comunque, è affidata anche alle normative nazionali. Il testo della Carta inizia con un preambolo ed i 54 articoli sono suddivisi in 6 capi i cui titoli enunciano i valori fondamentali dell'Unione: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Il settimo capo è rappresentato da una serie di “disposizioni generali" che precisano l'articolazione della Carta con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). I diritti contenuti nella Carta sono classificabili in quattro categorie:

  • Le libertà fondamentali comuni, presenti nelle Costituzioni di tutti gli stati membri;
  • I diritti riservati ai cittadini dell'Unione, in particolare riguardo alla facoltà di eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo e di godere della protezione diplomatica comune;
  • I diritti economici e sociali, quelli che sono riconducibili al diritto del lavoro;
  • I diritti moderni, quelli che derivano da alcuni sviluppi della tecnologia (tutela dei dati personali, il divieto alla discriminazione di disabilità e di orientamento sessuale).

GLI ATTI NORMATIVI DELL’UNIONE EUROPEA E I LORO EFFETTI

NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Le fonti del diritto derivato si distinguono in atti vincolanti e non vincolanti. Gli atti non vincolanti, emanati da ogni organo dell’UE, sono le raccomandazioni UE, ossia gli inviti rivolti agli Stati a conformarsi ad un certo comportamento, ed i pareri, che esprimono il punto di vista di un organo su un determinato oggetto. Le fonti vincolanti sono dei pieni atti normativi che si distinguono in tre tipologie:

  • Regolamenti UE: hanno le caratteristiche che sono tipiche, all’interno del nostro ordinamento, della legge. Hanno portata generale, nel senso che non si rivolgono a soggetti determinati, ma pongono norme generali e astratte. Sono obbligatori in tutti i loro elementi, ossia non possono essere applicati solo parzialmente nei singoli Stati, e, infine, sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri: → La diretta applicabilità è una qualità di determinati atti comunitari che producono immediatamente i loro effetti giuridici nell’ordinamento nazionale, senza l’interposizione di un atto normativo nazionale. Ciò significa che non è necessario e neppure ammesso un atto dello Stato che ne ordini l’esecuzione nell’ordinamento nazionale, perché il regolamento si impone per forza propria e la sua applicazione è obbligatoria per tutti, compresi i giudici e la pubblica amministrazione dello Stato membro. Essa è definita dal Trattato (la fonte gerarchicamente superiore) che determina anche quando e con quali procedure i regolamenti sono emanati;
  • Direttive CE: hanno come destinatario gli Stati membri (non tutti i soggetti giuridici della Comunità), e li vincolano per quanto riguarda il risultato da aggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Lo Stato ha quindi un obbligo di risultato che deve raggiungere entro il termine fissato dalla direttiva, mentre ha discrezionalità per ciò che riguarda la scelta delle forme e dei mezzi, cioè può scegliere, in applicazione delle norme del proprio ordinamento, se dare attuazione alla direttiva con legge, con regolamento o anche solo con comportamenti dell’amministrazione pubblica, purché si assicuri un’attuazione piena, corretta e certa;
  • Decisioni CE: hanno caratteristiche che sono tipiche, nel nostro ordinamento, del provvedimento amministrativo. Sono obbligatorie in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili, come i regolamenti CE, ma, a differenza di questi, hanno portata particolare, si rivolgono cioè a soggetti specifici, che possono essere uno Stato membro o una determinata persona giuridica (una società commerciale). Diversa concettualmente è la nozione di effetto diretto: essa non riguarda gli atti, ma le norme. È perciò una nozione non definita dal legislatore, ma dall’interprete, ossia, nel nostro caso, dalla Corte di giustizia dell’UE. L’effetto diretto è la capacità di una norma europea di creare diritti direttamente in capo ai singoli, anche senza l’intermediazione dell’atto normativo statale (norme “self-executing”). La nozione di effetto diretto è stata introdotta per garantire la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno, anche nei casi in cui lo Stato membro, chiamato ad attuare una disposizione sfornita di immediata applicabilità, ritardi l’emanazione delle norme interne, paralizzando l’operatività della norma europea nel proprio territorio. La Corte di giustizia ha perciò ritenuto che, dove una disposizione comunitaria possa esprimere una norma chiara, precisa e non condizionata dall’intervento del legislatore nazionale, e questa riconosca un diritto ai singoli, questa deve essere applicata direttamente, senza attendere l’attuazione nazionale. Il problema del contrasto tra una norma comunitaria e una norma interna è stato affrontato dalla Corte Costituzionale, che nel tempo ha dato risposte diverse. Alla fine, la sentenza 170/1984, nota come Granital o La pergola, ha disposto che l’ordinamento comunitario e quello italiano sono due ordinamenti giuridici autonomi e separati, ognuno dotato di un proprio sistema di fonti, non esiste un conflitto tra le fonti interne e quelle comunitarie, perché ognuna è valida ed efficace nel proprio ordinamento secondo le condizioni poste dall’ordinamento stesso, è il Trattato che segna la “ripartizione di competenza” tra i due ordinamenti e il regime giuridico delle proprie fonti ed i conflitti tra norme, eventuali, vanno risolte dal giudice italiano secondo il criterio della competenza: accerta che sulla materia sia competente quello italiano o quello comunitario e applica la norma corrispondente.

verso gli Stati riguardo all'adempimento degli obblighi comunitari. Inoltre, la Commissione può esercitare un controllo indiretto sugli Stati membri attraverso le segnalazioni dei soggetti privati, cittadini ed imprese, relative alla mancata attuazione del diritto comunitario e stabilisce l’ammontare dei Fondi strutturali, cioè dei finanziamenti stanziati dalla Comunità per esigenze di sviluppo economico, occupazionale e formativo degli Stati membri, e la loro ripartizione ai singoli Stati. La Commissione è composta da un numero di componenti pari a quello degli Stati membri, i quali durano in carica cinque anni, sono scelti in base alle loro competenze generali ed alle garanzie di indipendenza offerte e vengono designati di comune accordo dagli Stati membri e dal futuro presidente della stessa. Il Parlamento europeo elegge il presidente (Ursula von der Leyen) su proposta del Consiglio ed approva la composizione della Commissione. Il Parlamento può censurare la Commissione costringendola alle dimissioni. I membri della Commissione sono designati dal Consiglio su proposta degli Stati ma il presidente della Commissione deve essere d’accordo sulla loro designazione, assegna loro le competenze e può chiedere e ottenere le loro dimissioni. Il Vicepresidente della Commissione è l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri (Josep Borrell) che rappresenta l’UE nella politica estera;

  • Il Parlamento europeo è composto dai rappresentanti dei cittadini dell'Unione, eletti in ciascuno Stato per cinque anni a suffragio universale e diretto (presidente David Sassoli). È, dunque, un organo rappresentativo e dotato di legittimazione democratica, che partecipa pienamente al processo di formazione degli atti normativi, attraverso la procedura legislativa ordinaria. L'adozione degli atti normativi, promossi dalla Commissione, richiede il consenso sia del PE sia del Consiglio, il dissenso dei quali è comunque superabile con la convocazione di un apposito Comitato di conciliazione. Sono poi previste diverse procedure legislative speciali basate sulla partecipazione di entrambi gli organi legislativi. Inoltre, il PE dispone di un potere di iniziativa legislativa indiretta, esercitato tramite la Commissione, e risponde alle petizioni dei cittadini comunitari, nominando un Mediatore chiamato ad indagare sui casi di cattiva amministrazione delle istituzioni comunitarie, denunciati dagli stessi cittadini. Infine, il PE è titolare di poteri di controllo verso la Commissione, che si sostanziano nell'istituzione di commissioni temporanee d'inchiesta, nella presentazione di interrogazioni, ma, soprattutto, nel voto di fiducia iniziale sul presidente e sui membri della Commissione e nella possibilità di approvare una mozione di censura verso la stessa, che ne provoca le dimissioni;
  • La Corte di Giustizia è l'organo giurisdizionale comunitario che assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione ed applicazione del Trattato. È composta da tanti giudici quanti sono gli Stati membri ed ha il compito di giudicare sulle violazioni del diritto comunitario, commesse dagli Stati membri o dalle istituzioni europee, sulla legittimità degli atti normativi comunitari, e di interpretare il diritto comunitario in via pregiudiziale. La Corte è coadiuvata dal Tribunale di primo grado, titolare di competenze specifiche, le cui sentenze possono essere impugnate di fronte alla Corte stessa per motivi di solo diritto;
  • La Corte dei Conti è l’organo di controllo contabile della Comunità che esamina le entrate e le spese della stessa e degli organi da essa creati;

L’EVOLUZIONE DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA

Sin dall’origine i Trattati istitutivi della Comunità europea ponevano al centro degli obiettivi l’instaurazione di un mercato comune, un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Questo comportava l’adozione da parte della Comunità e degli Stati membri di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche degli Stati membri, ispirata al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Il mercato unico è stato completato, a partire dal Trattato di Maastricht del 1992, dalla creazione di una moneta unica, l’Euro, cui aderiscono 18 dei 27 Stati membri dell’UE, nonché dalla definizione e dalla conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, gestite direttamente dalle

istituzioni comunitarie, il Sistema europeo di banche centrali (SEBC), indipendente sia dalle istituzioni nazionali che da quelle europee. Secondo il meccanismo introdotto con l Trattato di Maastricht e confermato dal Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), la politica monetaria doveva essere condotta a livello sovranazionale dalla BCE, mentre le politiche di bilancio erano di competenza dei singoli Stati. Tale meccanismo, però, non è riuscito ad imporre la riduzione del debito pubblico e del disavanzo di bilancio in modo da assicurare il rispetto dei parametri di Maastricht. Pertanto, per affrontare la grave crisi delle finanze dell’Eurozona, sono state introdotte importanti riforme:

  • Il semestre europeo, che consiste in una procedura finalizzata al coordinamento preventivo delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri;
  • La nuova sorveglianza macroeconomica e finanziaria, introdotta con il cosiddetto six pack, ossia con un insieme di sei regolamenti comunitari, che ha modificato il Patto di stabilità e crescita;
  • Il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione europea, caratterizzato dall’introduzione del pareggio di bilancio e dall’individuazione di un percorso di riduzione del debito pubblico in rapporto al PIL;
  • La creazione di un’Unione bancaria, diretta ad evitare i rischi di “contagio” tra il sistema finanziario privato e la finanza pubblica degli Stati.

LA LIBERTÀ PERSONALE

La libertà personale, espressa nell’ articolo 13 Cost. , nella sua accezione più ristretta e storica coincide con la libertà dagli arresti. Il nucleo fondamentale della libertà personale è, dunque, la libertà fisica, la disponibilità della propria persona. Solo lo Stato può limitare la libertà fisica delle persone. Nella prassi giurisprudenziale, l’ambito della nozione di libertà personale ha subito, però, un notevole ampliamento in quanto la garanzia dalla tutela dagli arresti si è estesa anche ad altre forme di limitazione fisica dell’individuo, quali la detenzione, l’ispezione e la perquisizione personale. Tuttavia, non tutte le limitazioni della libertà personale ricadono nel divieto di tale articolo: ne restano escluse quelle di lieve entità, di per sé incapaci di ledere la dignità personale e di costituire delle misure equivalenti all’assoggettamento dell’individuo all’altrui potere. Inoltre, in base a indizi sospetti che certi reati possano essere commessi in futuro, possono essere adottate delle misure di prevenzione come le misure cautelari (l’arresto domiciliare, la carcerazione preventiva, la sospensione da un pubblico ufficio) o le misure di sicurezza (il riformatorio, il ricovero nell’ospedale psichiatrico giudiziario, la libertà vigilata). Gli strumenti di tutela della libertà personale sono i più forti che la Costituzione preveda per limitare ogni discrezionalità dell’autorità pubblica: la riserva assoluta di legge e la riserva di giurisdizione. Inoltre, l’ articolo 111.7 Cost. prevede che contro tutti i provvedimenti giurisdizionali che incidono sulla libertà personale sia sempre ammesso il ricordo davanti alla Corte di cassazione. L’ articolo 13.3 Cost. prevede un’eccezione, anch’essa coperta da riserva di legge, per di più rinforzata. La riserva di legge di quest’articolo opera anche per l’individuazione del tipo di restrizione cui può essere sottoposta la libertà personale. Tuttavia, sono diversi i principi costituzionali che operano a questo proposito:

  • Il divieto di ogni violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a restrizione ( articolo 13.4 Cost. );
  • Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato ( articolo 27.3 Cost. );
  • L’esclusione assoluta della pena di morte ( articolo 27.4 Cost. );
  • Il giudizio di ragionevolezza viene allargato anche alle misure delle pene, cioè alla proporzione, che deve sussistere, tra la gravità della pena e la gravità del reato. Inoltre, l’ articolo 32.2 Cost. prevede la limitazione della libertà personale per finalità sanitarie, ossia il trattamento sanitario obbligatorio per il quale s’intende ogni tipo di attività diagnostica o terapeutica imposta all’individuo.

LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO

La libertà di circolazione e soggiorno è molto vicina alla libertà personale: infatti, la libertà di disporre della propria persona fisica comprende anche la libertà di spostamento, di circolare, di scegliere la propria dimora. La differenza tra le due libertà sta nel carattere coercitivo e degradante della dignità umana che caratterizza le limitazioni della libertà personale e che, invece, è assente nelle limitazioni della libertà di circolazione. La libertà di circolazione, disciplinata nell’ articolo 16 Cost. , comprende sia la libertà di espatrio ( articolo 16.2 Cost. ), per la quale è previsto l’obbligo di munirsi di documenti validi (la carta d’identità elettronica od il passaporto), sia la libertà di scelta del luogo di esercizio delle proprie attività economiche, ormai potenziata ed estesa all’intero territorio dell’UE dal diritto di stabilimento. Inoltre, comprende la libertà di emigrazione, espressamente sancita dall’ articolo 35.4 Cost. Questa libertà viene garantita ai cittadini da una riserva di legge rafforzata per contenuto, ma non da una riserva di giurisdizione. Le limitazioni alla circolazione devono essere stabilite dalla legge in via generale per motivi di sanità o di sicurezza ( articolo 16.1 Cost. ). La Corte costituzionale ha sostenuto che la locuzione “in via generale” riafferma solo il principio di eguaglianza mentre la nozione di “sicurezza” sta ad indicare, in generale, l'ordinato vivere civile comprensivo della pubblica moralità. Il limite della sicurezza non può in alcun modo riguardare le scelte politiche delle persone, come viene esplicitato nell’ articolo 16.1 Cost. , e la Corte costituzionale ha esteso il divieto di limitare la libertà di circolazione per ragioni politiche anche alla libertà di espatrio. I provvedimenti tipici che rientrano nelle limitazioni alla libertà di circolazione sono i cordoni sanitari, istituiti per evitare il propagarsi di epidemie o per prevenire il contagio in zone dove si sono verificati gravi incidenti ambientali, ed anche le misure restrittive adottate in caso di retate estese ad interi blocchi di edifici.

LA LIBERTÀ DI RIUNIONE

La riunione, espressa dall’ articolo 17 Cost. , può definirsi come la compresenza volontaria di più persone nello stesso luogo. È proprio la volontà di stare insieme per uno scopo comune a distinguere la riunione da altre forme di assembramento (la coda fuori da un negozio). Invece, sono da considerarsi i cortei, che sono riunioni itineranti, le manifestazioni spontanee, cioè non organizzate, ed anche le feste da ballo, le cerimonie, le processioni religiose, le assemblee, i convegni, i comizi. La condizione che pone la Costituzione al diritto di riunione è che essa si svolga pacificamente e senza armi. L’interesse che l’ articolo 17.1 Cost. vuole tutelare è l’ordine pubblico in senso materiale, ossia la sicurezza e l’incolumità delle persone e delle cose. La riunione perde il carattere pacifico quando trascende in disordini e violenze contro persone e cose: in questo caso può essere sciolta dalla forza pubblica. Tuttavia, il fatto che qualcuno dei partecipanti sia armato non causa lo scioglimento della riunione ma semmai l’allontanamento dell’interessato. La Corte costituzionale ha anche precisato che per armi debbano essere considerate anche le cosiddette “armi improprie”, cioè quegli strumenti chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e luogo, per l’offesa alla persona. La legislazione penale dell’emergenza vieta, inoltre, l’uso di caschi protettivi e di altri mezzi che rendano difficoltoso il riconoscimento della persona. A seconda del luogo in cui si svolgono, le riunioni si distinguono in:

  • Riunioni in luogo privato: sono quelle che si svolgono in luoghi destinati al godimento esclusivo dei privati, ossia il domicilio di una persona, anche giuridica (la casa);
  • Riunioni in luogo aperto al pubblico: sono quelle dove l'accesso del pubblico è soggetto a modalità determinate da chi ne ha la disponibilità (un cinema, un teatro, l'aula magna);
  • Riunioni in luogo pubblico: sono quelle dove ognuno può transitare liberamente (le strade, le piazze). Per tali riunioni, l’articolo 17. 3 prevede l’obbligo del preavviso, cioè un onere posto a carico dei promotori della riunione che deve essere dato in forma scritta almeno tre giorni prima al questore, con indicazione del luogo, dell'ora e dell'oggetto della riunione e delle generalità di coloro

che sono designati a prendere la parola. Il questore può anche vietare preventivamente la riunione, come previsto dallo stesso articolo.

LA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE

Per associazione si intendono quelle formazioni sociali che hanno base volontaria ed un nucleo, sia pure embrionale, di organizzazione e di tendenziale stabilità. La disciplina dell’ articolo 18 Cost. si rivolge a tutte le forme associative, quale ne sia la specifica qualificazione giuridica. Tuttavia, la stessa Costituzione detta delle norme specifiche per alcuni tipi di associazione: le associazioni a carattere religioso ( articoli 19-20 Cost. ), i sindacati ( articolo 39 Cost. ) ed i partiti politici ( articolo 49 Cost. ). L' articolo 18.1 Cost. pone tre garanzie alla libertà di associazione:

  • La prima garanzia riguarda l'adesione all'associazione che deve essere libera. Ad essere protetta è, innanzitutto, la libertà negativa, cioè il diritto di non associarsi. Tuttavia, la Corte costituzionale ha dichiarato una serie di associazioni obbligatorie cui è necessario aderire per svolgere determinate attività e che rappresentano forme ibride tra l’organizzazione privata e l’ente pubblico. Tali sono gli ordini professionali (gli avvocati, i notai, i medici, ecc.), che sono forme di organizzazione professionale di tipo corporativo, le federazioni sportive, cui è necessario iscriversi per svolgere un’attività agonistica, o alcune forme di consorzio obbligatorio tra proprietari o produttori. Dunque, la libertà negativa di associarsi non è assoluta ma può essere oggetto di bilanciamento con altri interessi;
  • La seconda garanzia riguarda l'istituzione dell'associazione che può avvenire senza autorizzazione il che significa che non vi può essere alcun intervento delle autorità pubbliche che condizioni il sorgere di un'associazione ad una sua valutazione discrezionale. Sono i cittadini gli unici a cui spetta la valutazione dell’opportunità di creare o meno un’associazione;
  • La terza garanzia è costituita da una riserva di legge rinforzata: la legge non può porre limiti e divieti specifici per le associazioni, salvo i casi di associazioni che hanno lo scopo di commettere reati, le associazioni che svolgono delle attività contrarie agli ordinamenti politici costituiti nello Stato e le associazioni a carattere internazionale non autorizzate dal Governo. L’ articolo 18.2 Cost. vieta solo due tipi di associazione (cui si aggiunge il divieto di riorganizzare in qualsiasi forma il disciolto partito fascista):
  • Le associazioni segrete sono quelle che, all’interno di associazioni palese, occultando la loro esistenza, tenendo segrete congiuntamente le finalità e le attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono un’attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale. Questa definizione è contenuta nella legge 17/1982, chiamata “legge P2”. Tale legge sanziona penalmente l’appartenenza ad associazioni segrete mentre lo scioglimento avviene con una sentenza irrevocabile che accerti l’esistenza di essa, cui segue un d.P.C.M. che ne ordina lo scioglimento e la confisca dei beni;
  • Le associazioni paramilitari sono quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Per quest’ultime non s’intendono delle strutture necessariamente armate, ma basta l’inquadramento degli associati in corpi, reparti e nuclei, con disciplina e ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l’eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con l’organizzazione atta anche all’impegno collettivo in azioni di violenza e di minaccia.

LA LIBERTÀ DI FEDE RELIGIOSA

La libertà di coscienza è la libertà di coltivare profonde convinzioni interiori e di agire di conseguenza, ma ciò che interessa al diritto sono la disciplina delle manifestazioni esteriori, sociali, della coscienza, del

  • Una riserva di legge assoluta ( articolo 21.3 Cost. ): la legge sulla stampa consente il sequestro per apologia del fascismo e per la salvaguardia del buon costume. Inoltre, la stampa è libera ma non può essere anonima perché altrimenti si impedirebbe a chi si sentisse danneggiato dalle notizie pubblicate di far valere la responsabilità dell’autore di esse. Perciò, bisogna indicare il direttore responsabile che ne risponde penalmente e provvede ad un controllo;
  • Una riserva di giurisdizione: valgono per il sequestro della stampa le norme analoghe a quelle che disciplinano la libertà personale ( articolo 21.3-21.4 Cost. ). In assenza di regole costituzionali specifiche, è stato quindi compito della Corte costituzionale elaborare i principi che devono ispirare la disciplina della radiotelevisione, determinando il numero massimo di concessioni, i limiti quantitativi per la concentrazione tra imprese televisive ed imprese editoriali e tra imprese televisive e concessionarie di pubblicità. Inoltre, è stato su sollecitazione della giurisprudenza costituzionale che il sistema radiotelevisivo è passato dal regime di monopolio pubblico al sistema misto attuale.

I DIRITTI DELLA SFERA ECONOMICA

I diritti nella sfera economica sono quelli compresi dalla Costituzione economica, cioè dal Titolo III della Parte I della Costituzione. In esso vengono dettati i principi in materia di lavoro ( articoli 35- 36 - 37 - 38 - 46 Cost. ), di organizzazione sindacale e di sciopero ( articoli 39- 40 Cost. ) e di impresa e di proprietà ( articoli 41 - 42 - 43 - 44 Cost. ).

LA LIBERTÀ DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE E IL DIRITTO DI SCIOPERO

L’ articolo 39 Cost. non è mai stato applicato, salvo il primo comma che sancisce la libertà di organizzazione sindacale. Essendo tale organizzazione una specie del genere di quello delle associazioni, composta dai lavoratori che appartengono alla stessa categoria, sarebbe bastata la tutela generale prevista dall’ articolo 18 Cost. Il fatto è che la Costituzione prefigura un modello specifico di organizzazione sindacale: è il sindacato che, a condizione di avere un ordinamento interno di tipo democratico, viene registrato, acquista la personalità giuridica e, soprattutto, può entrare in rappresentanze unitarie che stipulano contratti collettivi di lavoro con efficacia normativa, perché vincolano tutti gli appartenenti alla categoria. Ma i sindacati hanno sempre rifiutato di attuare questa norma: per cui sono rimaste delle semplici associazioni di diritto privato ed i contratti che essi stipulano non sono fonti dell’ordinamento generale, ma hanno valore vincolante solo per i soggetti che lo hanno stipulato e per i loro iscritti. Lo sciopero è la sospensione collettiva temporanea delle prestazioni di lavoro rivolta alla tutela di un interesse dei lavoratori: è un diritto nel senso che chi sciopera non può subire conseguenze negative sul piano penale, civile o disciplinare, a parte la sospensione della retribuzione. Lo sciopero tutelato dall' articolo 40 Cost. è però solo quello che i lavoratori dipendenti attuano per interessi, anche non economici, di categoria, non anche quello politico o quello attuato dai datori di lavoro (la “serrata”) o dai liberi professionisti: tuttavia, anche queste manifestazioni sono libere e garantite dalle altre libertà (di riunione, di associazione, di espressione) riconosciute dalla Costituzione. Tale articolo rinvia alle leggi la regolazione ed i limiti del diritto di sciopero. Ma anche questa disposizione non è stata attuata, perché non si è mai approvata una disciplina generale del diritto di sciopero: esiste solo la disciplina del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (la sanità, la giustizia, i trasporti pubblici) nei quali devono comunque essere garantite le prestazioni indispensabili.

LA LIBERTÀ DI INIZIATIVA ECONOMICA PRIVATA

L' articolo 41 Cost. sancisce la libertà di iniziativa economica privata ed è apparso come la chiave di svolta della Costituzione economica poiché pone un principio di bilanciamento tra l’iniziativa economica privata e l’interesse collettivo ( articolo 41.2 Cost. ). Inoltre, l' articolo 41.3 Cost. della Costituzione sembrava porre l'esigenza di equilibrare l'iniziativa economica con i principi della pianificazione pubblica

dell'economia. In sostanza, in tale articolo sembrava scorgersi l'ambiguità di un compromesso tra l'ideologia penalista e quella socialista. È stata soprattutto l’espansione dell’UE a rendere obsoleti tali temi: l’affermazione dei principi della libera circolazione dei capitali, delle merci e dei lavoratori, le regole di concorrenza che dominano il mercato, il divieto di aiuti pubblici alle imprese, hanno portato l’economia lontano dalle prospettive della pianificazione vincolante e del dirigismo pubblico dell’economica. La scelta comunitaria, invece, è quell’opposta, di una semplice regolazione del mercato per garantirvi la concorrenza ed impedire il costituirsi di posizioni dominanti che falsino la concorrenza stessa. È in questa prospettiva che si colloca anche l’istituzione dell’Autorità antitrust, quale garante, indipendente dagli organi di governo, della concorrenza e del mercato. Inoltre, l’ articolo 43 Cost. consente la “nazionalizzazione” (Enel) o, addirittura, la “collettivizzazione” di determinate imprese o categorie di imprese. Dunque, prevede una riserva di legge rinforzata per contenuto. La tendenza, su sollecitazione dell’UE, è verso la privatizzazione delle imprese pubbliche e, soprattutto, verso il superamento dei monopoli pubblici: per cui tale articolo è destinato ad avere un’applicazione marginale.

LA PROPRIETÀ NELLA COSTITUZIONE

L’ articolo 42 Cost. è il frutto di un compromesso tra l’ideologia capitalista e quella socialista: esso, infatti, ammette la proprietà privata solo se e in quanto compatibile con la “funzione sociale”. La proprietà privata è un diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo: indica quindi l'appartenenza di un bene a un soggetto. Per quanto riguarda i limiti, la riserva di legge rinvia al legislatore di trovare i punti di equilibrio tra la proprietà privata e gli interessi generali. L’ articolo 42.3 Cost. prevede la possibilità di espropriazione della proprietà privata. Essa consiste nella manifestazione della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato: il diritto soggettivo di proprietà degrada in puro interesse legittimo e al proprietario rimane solo il diritto a un’indennità per il bene espropriato che non lo risarcisce se non in parte della perdita economica subita.

I BENI PUBBLICI

La proprietà, avente ad oggetto beni mobili od immobili, può avere natura pubblica o privata, così come disciplinato dall’ articolo 42 Cost. I beni appartenenti al patrimonio dello Stato si distinguono in demanio pubblico e beni patrimoniali. Il demanio pubblico (il lido del mare, la spiaggia, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia) riguarda quei beni inalienabili che non possono formare oggetto di diritto a favore di terzi, se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Nell’ipotesi in cui tali beni cessino la loro destinazione ad uso pubblico, passano direttamente nel patrimonio dello Stato. L’inizio e la cessazione della demanialità muta a seconda che si faccia riferimento a beni naturali o beni pubblici artificiali:

  • Per i beni naturali l’inizio della demanialità si colloca al momento della loro venuta ad esistenza. Di conseguenza, assume un valore meramente dichiarativo l’atto con cui la PA Individua e classifica tale tipologia di beni;
  • Per i beni del demanio artificiale non è sufficiente la loro venuta ad esistenza ma occorre un valore ulteriore che consiste nella destinazione del bene all’uso pubblico. La cessazione della demanialità viene dichiarata dalla PA e il relativo atto deve essere oggetto di pubblicità. I beni patrimoniali si distinguono in beni mobili e immobili e beni disponibili e indisponibili. Relativamente ai beni mobili, per la loro natura o determinazione di legge, sono disciplinati dagli articoli 812 e seguenti del codice civile. Vanno ricompresi anche i materiali per i servizi pubblici. Si definiscono indisponibili quei beni che per loro stessa destinazione ad un servizio pubblico e governativo non possono essere alienati o comunque sottratti dal patrimonio dello Stato. Ne fanno parte

IL DIRITTO DI VOTO

L’ articolo 48 Cost. disciplina l’elettorato attivo, cioè la capacità di votare. Il voto è un diritto in quanto contiene la nostra pretesa all'esercizio della sovranità popolare. Esso è subordinato al possesso di due requisiti positivi:

  • La cittadinanza italiana, anche se coloro che godono della cittadina dell’UE hanno riconosciuto il diritto di voto nelle elezioni locali;
  • La maggiore età: la legge fissa il raggiungimento di essa al compimento di 18 anni. Inoltre, anche i detenuti, che non siano incorsi in una causa di incapacità elettorale, sono ammessi a votare nel luogo di detenzione, mentre i malati possono votare negli ospedali e nelle case di cura. Tutti coloro che possiedono i requisiti vengono iscritti d’ufficio nelle liste elettorali. L'elettorato attivo viene però escluso in presenza di alcune condizioni ai sensi dell' articolo 48.4 Cost. Secondo l’ articolo 48.2 Cost. , il voto è:
  • Personale: è escluso il voto per procura, cioè nessuno può delegare un'altra persona a votare al proprio posto;
  • Uguale: si basa su un principio basilare di un sistema democratico, escludendo radicalmente la possibilità che ad alcuni sia attribuito il voto plurimo;
  • Libero: la legge vieta e sanziona le coartazioni che possono derivare dall’esercizio di certe funzioni e considera reato l’elargizione di denaro e di cibo nell’imminenza delle elezioni, ovvero nessuno può costringerci a votare in modo diverso da quello che abbiamo scelto;
  • Segreto: nessuno può costringerci a rivelare per chi abbiamo votato, laddove la segretezza serve a garantire l’effettiva libertà dello stesso voto;
  • Dovere civico: non implica l'obbligatorietà giuridica del diritto di voto e non prevede sanzioni nei confronti di chi non lo esercita, con la conseguenza che l’astensionismo può ritenersi perfettamente ammissibile e lecito. Anche i cittadini italiani residenti all'estero hanno il diritto di voto per l'elezione del Parlamento. La Legge costituzionale 1/2000 ha introdotto un terzo comma dell’ articolo 48 Cost. : dunque, i cittadini italiani residenti all’estero dovranno votare in un’apposita circoscrizione elettorale, la Circoscrizione estero, nella quale vengono eletti dodici deputati e sei senatori. Dall'elettorato attivo va distinto l'elettorato passivo, che consiste nella capacità di essere eletto. Il principio generale è quello dell’eleggibilità di tutti gli elettori, salvo restrizioni particolari previste dalla Costituzione. Quest’ultima pone una restrizione concernente l’età: per essere eletti alla Camera dei deputati occorre avere compiuto 25 anni ( articolo 56.3 Cost. ), mentre per essere eletti al Senato della Repubblica occorre avere almeno 40 anni ( articolo 58.2 Cost. ). Per il resto si rinvia alla capacità elettorale, per cui se si perde l’elettorato attivo viene meno quello passivo.

I PARTITI POLITICI

I partiti politici, disciplinati dall’ articolo 49 Cost. , sono organizzazioni private e volontarie, in quanto chiunque può iscriversi e dimettersi, che hanno come fine la conquista e la gestione del potere politico dello Stato e degli enti politici substatali, a seguito di libere elezioni, al fine di imprimere agli stessi un determinato indirizzo politico riguardante l’intera società. Costituiscono il principale canale di collegamento tra la società civile e le situazioni statali. Esprimono le idee e gli interessi di una parte della popolazione, ne raccolgono le domande politiche e su questa base formulano i loro programmi che cercano di far prevalere all'interno dell'istituzioni pubbliche. Da una parte agiscono come rappresentanti dei settori della società civile, dall'altra determinano l'orientamento politico dello Stato. In Italia i partiti politici sono di destra e di sinistra. A partire dagli interessi che ciascun partito cerca di esprimere dalle ideologie di cui è portatore, ogni partito formula il proprio programma politico cioè quella serie di provvedimenti che intende sostenere all’interno degli organi dello Stato. I partiti sono l'asse portante dello Stato in quanto forniscono al Parlamento e al Governo gli uomini e i programmi. Essi costituiscono il principale canale di selezione dei dirigenti della politica in quanto è molto difficile diventare membri di un'assemblea elettiva senza l'appoggio di un partito.

I partiti che ottengono la maggioranza alle elezioni formano il Governo e ne designano i ministri: inoltre, hanno la possibilità di nominare uomini di loro fiducia in incarichi pubblici di varie nature. L'indirizzo politico dello Stato viene formulato dai partiti di maggioranza, attraverso un confronto con i partiti di opposizione delle assemblee elettive. Nella storia europea i partiti nacquero con il primo Stato rappresentativo formatosi in Inghilterra intorno al

  1. Essi non erano ancora dei partiti al mondo del moderno senso della parola in quanto avevano scarsi contatti con la società ed esprimevano diversi orientamenti all'interno di una stessa classe sociale. Questi partiti vengono definiti notabili perché si formano attorno alle figure di importanti esponenti del mondo politico senza basi di massa. I partiti politici erano presenti anche nello Stato liberale, ma erano ristretti gruppi di persone, legati da una grande omogeneità economica e culturale. Essi agivano soprattutto dentro il Parlamento mentre al di fuori di esso si riducevano a comitati o circoli di opinione costruiti attorno alle personalità di alcuni notabili. In regime di suffragio limitato, per essere eletti erano sufficienti i voti di poche centinaia di elettori, che spesso conoscevano personalmente il candidato.

I DOVERI COSTITUZIONALI

La Costituzione contiene vari riferimenti ai doveri dei cittadini, ma perlopiù si tratta di principi non facilmente traducibili in regole di comportamento. Difatti, i doveri posti dagli articoli 2-4.2 Cost. non impediscono di certo a nessuno di vivere di rendita sperperando le proprie ricchezze in egoistiche dissolutezze. Inoltre, difficile è l’interpretazione del “dovere di fedeltà alla Repubblica” previsto dall’ articolo 54.1 Cost. Tale dovere esprime il suo significato normativo espressamente nei confronti di chi assume cariche pubbliche, mentre per la generalità dei cittadini si risolve nell’obbligo di rispettare la Costituzione e le leggi. Per questo, i doveri costituzionali si riducono principalmente a due:

  • Il “sacro” dovere di difesa della patria ( articolo 52.1 Cost. ): a tale dovere corrisponde essenzialmente l’obbligo del servizio militare (sospeso dal 2005), anche se i riflessi del dovere di difesa possono toccare, in caso di guerra, tutti i cittadini, non solo i militari;
  • Il dovere di pagare le tasse ( articolo 53.1 Cost. ): a tale dovere corrisponde l’obbligo per lo Stato di costruire un sistema tributario “informato ai criteri di progressività” ( articolo 53.2 Cost. ). La regola che proporziona i tributi alla capacità contributiva rispecchia il principio di eguaglianza formale, mentre la regola della progressività è ispirata da esigenze di eguaglianza sostanziale.

LE FORME DI STATO IN GENERALE

Con l’espressione forma di Stato si intende il rapporto che corre tra le autorità di potestà d’imperio e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. La nozione di “forma di Stato” si riferisce, dunque, al modo in cui si strutturano i rapporti tra lo Stato e la società, tra i governanti ed i governati: al variare di tali rapporti corrispondono finalità diverse perseguite dallo Stato nell’esercizio delle sue funzioni. Lo Stato assoluto è la prima forma dello Stato moderno: nacque in Europa tra il 400 ed il 500 e si è affermato nei due secoli successivi. Nello Stato assoluto il potere sovrano era concentrato nelle mani della Corona, titolare della funzione legislativa ed esecutiva, mentre il potere giudiziario era esercitato da Corti e Tribunali formati da giudici nominati dal Re. La volontà del Re era considerata la fonte primaria del diritto: ciò che egli voleva aveva efficacia di legge. Il suo potere non incontrava limiti legali né poteva essere condizionato dai desideri dei sudditi. Lo Stato liberale è una forma di Stato che nasce tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, a seguito della crisi dello Stato assoluto, dello sviluppo del modo di produzione capitalistico e dell’affermazione della borghesia. Il modello dello Stato liberale è caratterizzato da una finalità politico costituzionale garantistica, dalla concezione dello Stato minimo, dal principio di libertà individuale, dalla separazione dei poteri, dal principio di legalità e dal principio rappresentativo. Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello Stato liberale che porta all’allargamento della sua base sociale. Per cui lo Stato monoclasse si trasforma in uno