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resumen FORME E LINGUAGGI DEI NUOVI MEDIA, Ejercicios de Sociología

resumen FORME E LINGUAGGI DEI NUOVI MEDIA

Tipo: Ejercicios

2018/2019

Subido el 14/06/2019

Mariaglzfigueroa
Mariaglzfigueroa 🇪🇸

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FORME E LINGUAGGI DEI NUOVI MEDIA, capitolo terzo
3.1 In principio fu il digitale
Per parlare di nuovi media dobbiamo innanzitutto capire cosa si intende con digitale. In italiano,
digitale può fare riferimento alle dita, come le impronte digitali, o a qualcosa che ha fare con l’in-
formatica, il linguaggio dei calcolatori elettronici.!
L’informatica si basa sul codice binario e converte in bit le informazioni che vuole elaborare.
Quando si parla di passaggio dall’analogico al digitale si intende quindi il processo attraverso il
quale l’informazione viene digitalizzata, trasformata cioè in un linguaggio numerico binario.!
La digitalizzazione significa la codifica delle informazioni in formato digitale, cioè numerico bina-
rio; in senso più ampio, rappresenta il passaggio che ha caratterizzato gli ultimi decenni e che ha
visto latinizzo sempre maggiore delle scienze informatiche e delle sue tecnologie.!
La digitalizzazione è stata possibile anche grazie alla miniaturizzazione, e cioè alla costante ridu-
zione delle dimensione dei calcolatori elettronici in seguito all’utilizzo di nuovi materiali, il silicio, e
all’innovazione tecnologica.!
Un altro elemento che si aggiunge è quindi quello della compressione delle informazioni. La codi-
fica digitale consente di comprimere i dati in modo da occupare poca memoria ed essere più leg-
geri negli scambi supporti. Ha un aumento delle prestazioni, espresso dalla Legge di Moore. Gor-
don Moore enunciò la legge nel 1965: le prestazioni dei processori e il numero di transistor collo-
cabili su essi raddoppiato ogni 18 messi. I computer avrebbero aumentato la loro capacità di cal-
colo costantemente, grazie allo sviluppo di processori sempre più potenti e sempre più piccoli.
Oggi si parla di nanochip.!
L digitalizzazione dei contenuti non è solo un fatto meramente tecnologico, ma influenza anche il
modo in cui i contenuti vengono prodotti, veicolati, distribuiti. Secondo Nicholas Negroponte: un
intero nuovo contesto emergerà dalla nuova realtà digitale. Non solo secondo de Kerckhove la
digilatizzazione gira l’hardware in software e in qualcosa di simile a un’immagine mentale, cioè
mindware, strumenti della mente.!
3.2 Ibridazione e convergenza
Digitalizzazione, compressione, miniaturizzazione e aumento delle prestazioni hanno innescato il
fenomeno della convergenza multimediale, con cui si intende la fusione di contenuti, supporti e
distribuzioni. Indierentemente di convergenza o ibridazione, anche se per alcuni sono due termi-
ni distinti.!
L’idea della convergenza è stata largamente utilizzata da Ithiel de Sola Pool, qui sostiene che a
partire dal XIX secolo i media sono stati raggruppati e divisi in 3 aree: i vettori (le reti per il traspor-
to delle comunicazioni), l’editoria (che riguardava la produzione dei contenuti) e il broadcasting
(che comprende le reti radiotelevisive).!
Ogni qual volta appariva un nuovo medium, questo veniva inserito per analogia allìnterno di una
delle tre aree, di cui di conseguenza assumeva le caratteristiche giuridiche e sociali (il telegrafo
quando è nato è stato considerato un vettore). La collocazione di un nuevo medium all’interno di
un ‘area dipendeva dalla natura tecnica del mezzo. Il sistema tripartito però è stato messo in crisi
nel Ventesimo secolo dall’avvento di molti nuovi media che si sono posizionati a cavallo fra le tre
aree. Con la digitalizzazione queste decisioni sono diventate sempre più dicili e lasciate alla de-
regulation. !
Secondo Bettetini, la convergenza multimediale vede la sua realizzazione nella digitalizzazione
pervasiva e nella combinazione di due sistemi prima separati, e cioè le industrie dei media tradi-
zionali e il settore delle telecomunicazioni, che si articola su 3 livelli:!
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FORME E LINGUAGGI DEI NUOVI MEDIA, capitolo terzo 3.1 In principio fu il digitale Per parlare di nuovi media dobbiamo innanzitutto capire cosa si intende con digitale. In italiano, digitale può fare riferimento alle dita, come le impronte digitali, o a qualcosa che ha fare con l’in- formatica, il linguaggio dei calcolatori elettronici. L’informatica si basa sul codice binario e converte in bit le informazioni che vuole elaborare. Quando si parla di passaggio dall’analogico al digitale si intende quindi il processo attraverso il quale l’informazione viene digitalizzata, trasformata cioè in un linguaggio numerico binario. La digitalizzazione significa la codifica delle informazioni in formato digitale, cioè numerico bina- rio; in senso più ampio, rappresenta il passaggio che ha caratterizzato gli ultimi decenni e che ha visto latinizzo sempre maggiore delle scienze informatiche e delle sue tecnologie. La digitalizzazione è stata possibile anche grazie alla miniaturizzazione, e cioè alla costante ridu- zione delle dimensione dei calcolatori elettronici in seguito all’utilizzo di nuovi materiali, il silicio, e all’innovazione tecnologica. Un altro elemento che si aggiunge è quindi quello della compressione delle informazioni. La codi- fica digitale consente di comprimere i dati in modo da occupare poca memoria ed essere più leg- geri negli scambi supporti. Ha un aumento delle prestazioni, espresso dalla Legge di Moore. Gor- don Moore enunciò la legge nel 1965: le prestazioni dei processori e il numero di transistor collo- cabili su essi raddoppiato ogni 18 messi. I computer avrebbero aumentato la loro capacità di cal- colo costantemente, grazie allo sviluppo di processori sempre più potenti e sempre più piccoli. Oggi si parla di nanochip. L digitalizzazione dei contenuti non è solo un fatto meramente tecnologico, ma influenza anche il modo in cui i contenuti vengono prodotti, veicolati, distribuiti. Secondo Nicholas Negroponte: un intero nuovo contesto emergerà dalla nuova realtà digitale. Non solo secondo de Kerckhove la digilatizzazione gira l’hardware in software e in qualcosa di simile a un’immagine mentale, cioè mindware, strumenti della mente. 3.2 Ibridazione e convergenza Digitalizzazione, compressione, miniaturizzazione e aumento delle prestazioni hanno innescato il fenomeno della convergenza multimediale, con cui si intende la fusione di contenuti, supporti e distribuzioni. Indifferentemente di convergenza o ibridazione, anche se per alcuni sono due termi- ni distinti. L’idea della convergenza è stata largamente utilizzata da Ithiel de Sola Pool, qui sostiene che a partire dal XIX secolo i media sono stati raggruppati e divisi in 3 aree: i vettori (le reti per il traspor- to delle comunicazioni), l’editoria (che riguardava la produzione dei contenuti) e il broadcasting (che comprende le reti radiotelevisive). Ogni qual volta appariva un nuovo medium, questo veniva inserito per analogia allìnterno di una delle tre aree, di cui di conseguenza assumeva le caratteristiche giuridiche e sociali (il telegrafo quando è nato è stato considerato un vettore). La collocazione di un nuevo medium all’interno di un ‘area dipendeva dalla natura tecnica del mezzo. Il sistema tripartito però è stato messo in crisi nel Ventesimo secolo dall’avvento di molti nuovi media che si sono posizionati a cavallo fra le tre aree. Con la digitalizzazione queste decisioni sono diventate sempre più difficili e lasciate alla de- regulation. Secondo Bettetini, la convergenza multimediale vede la sua realizzazione nella digitalizzazione pervasiva e nella combinazione di due sistemi prima separati, e cioè le industrie dei media tradi- zionali e il settore delle telecomunicazioni, che si articola su 3 livelli:

1-La produzione dei media- si trata della convergenza di attività e metodi gestionali differenti nelle imprese multimediali. 2-Le tecnologie- i canali non sono più, como diceva Pool, l’elementoo dis- tintivo tra i diversi media. 3- I contenuti simbolici- la convergenza in tal senso riguarda la crasi dei linguaggi simbolici utilizzati dai vari media che si ibridano tra loro. La definizione di convergenza di Henry Jenkins: termine che descrive il cambiamento sociale, cul- turale, industriale e tecnologico oferente alle modalità di circolazione della nostra cultura. Dopo lo scoppio della bolla delle dotcom, il digitale ha perso la sua aura salvifica e è diventato qualcosa di familiare. Merito di Jenkins è stato quindi quello di ridimensionare il determinismo tecnologico che traspari- va de alcune letture profetiche e di rimettere al centro della questione gli usi e i significati culturali e sociali della convergenza (il determinismo tecnologico è una prospettiva che assegna alle tecno- logie un ruolo fondamentale nei processi di mutamento sociale). 3.3 La multimedialità all’epoca del digitale È multimediale una comunicazione che utilizza diversi supporti, codici, canali per veicolare il suo messaggio. Wikipedia attribuisce il primo utilizzo del termine a Bob Goldstein, creatore di un’ins- tallazione chiamata Lightworks che ilustrada la musica allo spettatore attraverso giochi di luci, panelli, film… È negli anni Ottanta che il termine cominci a essere usato in ambito informatico come in Apple, che lo utilizza per descrivere il suo Macintosh. Multimediale quindi inizia a essere un aggettivo attribuito ai computer. E, per questo, acquista una connotazione legata all’innovazio- ne tecnologica. I nuovi media sono nuovi perché sono multimediali. La caratteristica della multimedialità contem- poranea è la possibilità di una perfetta integrazione di dati, testi, suoni, immagini di ogni genere all’interno di un unico ambiente informativo digitale. La perfetta integrazione è possibile grazie alla digitalizzazione dei contenuti che permette di trattare i dati mediante lo stesso linguaggio. È multimediale ciò che consente al fruitore di avere un’esperienza di fusione multisensoriale. A questo punto, Francesca Pasquali ricorre a 2 strategie: 1- Definire le diverse forme di multime- dialità sulla base dei supporti e dei canali, 2- Intrecciare la multimedialità con altri concetti proprio dei new media. Distinguiamo tra multimedialità offline e online. La offline è propria dei prodotti editoriali fissati su sopporti che sono fruibili autonomamente. Si può parlare di multimedialità interattiva e ipermedia- lità. Nel primo caso si pone in evidenza la possibilità di partecipazione dell’utente alla costruzione della comunicazione, nel secondo caso l’accento è posto sulla organizzazione associativa delle informazioni di diversa origine mediale. 3.4 L’ipertestualità Il link è la tipica modalità ipertestuale sul web. Con iperteso digitale si intende un insieme di mate- riali multimediali che sono connessa tra loro attraverso collegamenti, gli hyperlink. L’idea dell’iperteso non è nata però con il web: fu Vannevar Bush a teorizzare già negli anni 30 un macchinario che potesse montare vari documenti a disposizione dell’utente, il quale poteva anche inserire commenti e note personali. Si chiamava il Memex. Negli anni Sessanta Ted Nelson con Douglas Engelbart fonda il progetto Xanadu, un archivo mondiale di documenti, immanini, video collegato da una rete di computer e gestito grazie a un’interfaccia dall’utente, il quale poteva muoversi attraverso una mole enorme di dati senza mai temere di perdersi. Era questa la sua idea di iperteso, in cui veniva esaltata la lettura non sequenziale e favorita la libertà dell’utente. Nelson è fortemente critico nei confronti di quanti sostengono che la sua opera sia realizzata nel web. Secondo lui, l’attuale web sarete solo lo scimiottamento della scrittura su carta e trarrebbe in inganno l’utente facendolo perdere tra la Congerie di pagine e informazioni.

giungono anche i “suggerimenti” del sistema elaborato sulla base del profilo dell’utente stesso grazie a cookie o log fil e, che invece seguono una logica push. Sappiamo che quello che ci sug- geriscono Facebook, Twitter… deriva dall’elaborazione delle informazioni che abbiamo dato noi al momento dell’iscrizione, dai cosiddetti environment data , ovvero i software che usiamo, l’hardwa- re, l’indirizzo IP… Il risultato è un’offerta altamente ritagliata sull’utente. 2- Personalizzazione di tempo e spazio- le tecnologie streaming e on demand permettono al frui- tore di vedere quello che vuole quando vuole, scegliendolo da una library messa a disposizione via satellite o online (come Netflix). Gli elementi principali di questo secondo livello sono costituiti dall’offerta a disposizione dell’utente e dai sistemi tecnologici che gli permettono di fruire i conte- nuti in modo svincolato da tempo e spazio. Quest’ultimo fenomeno è reso possibile dai cosiddetti “media nomadi”, cioè quei dispositivi portatili e wireless che ci permettono di essere collegati ovunque ci troviamo. Nel “computer ubiquo” ogni oggetto della nostra vita quotidiana diventerà smart. I nostri file già oggi ci seguono ovunque sul la nuvola. 3- Personalizzazione della produzione- si tratta della diffusione di pratiche di consumo e produ- zione mediale parallele a quelle delle industrie culturali. 2 aspetti a da considerare: la manipola- zioni dei prodotti mediali, che si traduce non solo nella combinazione di elementi offerti ma si spinge all’appropriazioni vera e propria. É il caso del file sharing , e del download. Le tecnologie peer to peer hanno permesso la condivisione di file tra utenti senza passare per alcun server. Napster fu il primo e dopo altri come eMule (per scaricare musica, programmi… in modo illegale), Megaupload (per scaricare o visionari in streaming. Apple con iTunes Store (per scaricare musica legalmente) e Spotify. In secondo luogo, le interfacce grafiche interattive, la portabilità delle tecnologie, l’abbassamento dei prezzi e la diffusione di software progettati in base allo user centered design hanno reso le tecnologie facili da usare e alla portata di chiunque. Anche qui ci sono 2 aspetti da tenere presen- ti. Da un lato si assiste sempre di più alla produzione mediale e culturale da parte di soggetti es- terni o marginali rispetto alle industrie culturali, che poi ne vengono assorbiti. Dall’altro lato, la dif- fusione degli smartphone ha evidenziato la funzione di prosumer degli utenti qui è un potenziale produttore di contenuti mediali (si parla anche di UGC, e user generated content). 3.7 Dalla crossmedialità al web collaborativo L’avanzata del web 2.0, del web sociale con partecipazione e personalizzazione dell’utente amplia l’idea di convergenza multimediale, sempre più definita come “crossmedialità”. Potremmo definire la crossmedialità come la convergenza 2.0. I contenuti vengono prodotti ovunque ci sia un me- dium digitale e una connessione a internet, e poi diffusi trasversalmente su svariate piattaforme web. Il sistema dei media oggi è crossmediale nel senso che fonde tutti i media e tutti i contenuti attra- verso il web, sempre più in tempo reale. Al centro del sistema c’è l’utente. YouTube , il cui motto era Broadcast Yourself , è centrale nella riflessione sui prosumer perché permette a chiunque di caricare video di quasi qualsiasi tipo. I protagonisti della crossmedialità sono sempre più gli utenti. Lo user generated content (conteni- do generado por los usuarios) é la chiave di molte piattaforme. Ci son svariate forme di partecipa- zione. Da un lato c’è il web social e dall’altro il web collaborativo. Il web collaborativo fa ancora qualcosa in più: offre agli utenti continue possibilità di interazione, di partecipazione e di collabo- razione. Un esempio è rappresentato dai sistemi di rating , grazie ai quali gli utenti possono esprimere valu- tazioni su varie tipologie di prodotti (come TripAdvisot). Anche i siti di e-commerce si basano sulla collaborazione degli utenti (eBay). Le piattaforme di mashup invece permettono di aggregare in- formazioni che provengono da fonti diverse come blog, siti… (Google Maps). Ci sono mio moltis- sime app che fanno della collaborazione degli utenti il loro punto di forza. Andrew Keen denuncia l’impoverimento generale derivato dalla produzione di contenuti da parte di non esperti. Jaron Larnier si scontra l’idea che tutto sia digitalizzabile. Tiziana Terranova parla

dell’utente che collabora di fatto è sfruttato perché lavora gratis per il profitto di mega aziende come Google, Amazon… 3.8 Un caso di studio: i Wiki e Wilipedia I software wiki hanno come caratteristica principale quella di permettere agli utenti registrati di apportare velocemente modifiche a materiali pubblicati online direttamente dal browser utilizzato, senza quindi usare linguaggi di programmazione specifici. L’idea alla base de wiki è quella della creazione di contenuti da parte degli utenti in modo collaborativo. È possibile farlo in forma ano- nima che all’inizio con WikiLeaks. Il wiki più famoso è Wikipedia, nata nel 2001. È una enciclopedia multilingue, collaborativa, online e gratuita. Si basa sui contributi dei volontari che ne scrivono le varie voci. I partecipanti condivi- dono alcuni valori fondanti del progetto, detti i 5 pilastri: 1- Wikipedia è un’enciclopedia 2- Wikipedia ha un punto di vista neutrale. La neutralità dovrebbe essere garantita da controllo comunitario che contraddistingue il progetto. 3- Wikipedia è libera. Libera diffusione. 4- Wikipedia ha un codice di condotta. La wikiquette regola le interazioni tra i membri della co- munità. 5- Wikipedia non ha regole fisse. L’importante è partecipare. Il problema è l’attendibilità e l’autorevolezza delle voci pubblicate. Da un punto di vista tecnico, tracciabilità degli indirizzi Ip, è possibile risalire all’autore delle voci. Nonostante, chi sono episodi di vandalismi. Un altro elemento di valutazione di Wikipedia riguarda la variabilità delle sue voci. Ma il problema reside nel fatto di presentare un punto di vista sostanzialmente occidentale e anglocentrico. 3.9 La libertà: l’etica hacker e l’open source Wikipedia trova i suoi fondamenti nell’etica hacker. Gli hacker sono stati loro a porre attenzione a questioni come la privacy , l’accessibilità, la vulnerabilità dei sistemi ma soprattutto all’idea che l’informazione e la conoscenza debbano essere di tutti. Una delle colonne portanti della loro etica è il free software , espressione con cui si indica la libertà del software. Un free software è libero ma non ncessariamente gratis. Un programma è un soft- ware libero se gli utenti godono delle 4 libertà fondamentali enunciate da Robert Stallman (fonda- tore della Free Software Foundation): libertà di eseguire il programma, libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo in modo da adattarlo alle proprie necessità, liberal di ridis- tribuire copie in modo da aiutare il prossimo, libertà di migliorare il programma e distribuire pub- blicamente i miglioramenti apportati. Il prerequisito per realizzare queste libertà è che il codice sorgente sia aperto, cioè che il file scrit- to dal programmatore che ha realizzato il software sia reso accessibile a tutti. Normalmente non è così. Stallman e la sua fondazione promuovono invece il progetto Gnu, una piattaforma software libera al cui interno si sviluppa il free software più celebre: Linux, destinato a diventare un conco- rrente effettivo di Windows. L Free Software Foundation ha elaborato una licenza denominata Gnu/Gpl con lo scopo di pro- teggere l’autore e il prodotto da chiusure del codice o privatizzazioni. L Gpl è diventata la base di altri tipi di licenze copyleft. Questa tutelano l’autore senza chiedere autorizzazioni e senza paga- re. Android si tratta di un software open source che ha il codice aperto ma in senso diverso rispetto al free software. L’open source si basa in modo quasi antitetico sulla volontà di sfruttare commer- cialmente le potenzialità di un software condiviso, che viene migliorato da una comunità di esperti