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Literatura italiana Dante Alighieri, Exámenes de Literatura

Literatura italiana, material de estudio

Tipo: Exámenes

2018/2019

Subido el 04/12/2023

ireneiannino
ireneiannino 🇻🇪

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Testo canto iv
Ruppemi l’alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch’io mi riscossi
come persona ch’è per forza desta; 3
e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi. 6
Vero è che ’n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. 9
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa. 12
«Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
cominciò il poeta tutto smorto.
«Io sarò primo, e tu sarai secondo». 15
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».        18
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti. 21
Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne. 24
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri,
che l’aura etterna facevan tremare;                27
ciò avvenia di duol sanza martìri
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
d’infanti e di femmine e di viri. 30
Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 33
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
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Testo canto iv

Ruppemi l’alto sonno ne la testa un greve truono, sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta; 3 e l’occhio riposato intorno mossi, dritto levato, e fiso riguardai per conoscer lo loco dov’io fossi. 6 Vero è che ’n su la proda mi trovai de la valle d’abisso dolorosa che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. 9 Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa. 12 «Or discendiam qua giù nel cieco mondo», cominciò il poeta tutto smorto. «Io sarò primo, e tu sarai secondo». 15 E io, che del color mi fui accorto, dissi: «Come verrò, se tu paventi che suoli al mio dubbiare esser conforto?». 18 Ed elli a me: «L’angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà che tu per tema senti. 21 Andiam, ché la via lunga ne sospigne». Così si mise e così mi fé intrare nel primo cerchio che l’abisso cigne. 24 Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri, che l’aura etterna facevan tremare; 27 ciò avvenia di duol sanza martìri ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, d’infanti e di femmine e di viri. 30 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi? Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 33 ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,

non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi; 36 e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo. 39 Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi, che sanza speme vivemo in disio». 42 Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, però che gente di molto valore conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. 45 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», comincia’ io per voler esser certo di quella fede che vince ogne errore: 48 «uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?». E quei che ’ntese il mio parlar coverto, 51 rispuose: «Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente, con segno di vittoria coronato. 54 Trasseci l’ombra del primo parente, d’Abèl suo figlio e quella di Noè, di Moisè legista e ubidente; 57 Abraàm patriarca e Davìd re, Israèl con lo padre e co’ suoi nati e con Rachele, per cui tanto fé; 60 e altri molti, e feceli beati. E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati». 63 Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia, la selva, dico, di spiriti spessi. 66 Non era lunga ancor la nostra via di qua dal sonno, quand’io vidi un foco ch’emisperio di tenebre vincia. 69

parlando cose che ’l tacere è bello, sì com’era ’l parlar colà dov’era. 105 Venimmo al piè d’un nobile castello, sette volte cerchiato d’alte mura, difeso intorno d’un bel fiumicello. 108 Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura. 111 Genti v’eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne’ lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi. 114 Traemmoci così da l’un de’ canti, in loco aperto, luminoso e alto, sì che veder si potien tutti quanti. 117 Colà diritto, sovra ’l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni, che del vedere in me stesso m’essalto. 120 I’ vidi Eletra con molti compagni, tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea, Cesare armato con li occhi grifagni. 123 Vidi Cammilla e la Pantasilea; da l’altra parte, vidi ’l re Latino che con Lavina sua figlia sedea. 126 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia; e solo, in parte, vidi ’l Saladino. 129 Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, vidi ’l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. 132 Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid’io Socrate e Platone, che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; 135 Democrito, che ’l mondo a caso pone, Diogenés, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone; 138

e vidi il buono accoglitor del quale, Diascoride dico; e vidi Orfeo, Tulio e Lino e Seneca morale; 141 Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galieno, Averoìs, che ’l gran comento feo. 144 Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. 147 La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca, fuor de la queta, ne l’aura che trema. E vegno in parte ove non è che luca. 151

Parafrasi canto iv

Un forte tuono interruppe il sonno nella mia testa, così che io mi scossi come qualcuno che si sveglia di soprassalto; e mossi intorno lo sguardo riposato, fissandolo dritto, e osservai con attenzione per capire dove mi trovassi. In effetti mi ritrovai sull'orlo estremo della valle dolorosa dell'Inferno, che accoglie in sé un rimbombo di infiniti lamenti. Era a tal punto oscura, profonda e nebulosa che pur figgendo lo sguardo al fondo, non riuscivo a vedere nulla. «Ora iniziamo a scendere nel mondo cieco,» cominciò Virgilio pallido in volto. «Io andrò per primo, tu mi seguirai». E io, accortomi del suo pallore, dissi: «Come potrò venire, se tu, che solitamente conforti ogni mio dubbio, sei spaventato?» Lui mi rispose: «L'angoscia delle anime che sono relegate qui dipinge sul mio volto quel tormento che tu credi paura. Andiamo, poiché il viaggio è lungo e non abbiamo tempo da perdere.» Così procedette e mi introdusse nel primo cerchio che attornia la voragine infernale.

Non avevamo percorso una lunga strada dal momento in cui mi ero risvegliato, quando io vidi una luce che superava un emisfero di tenebre. Eravamo ancora a una certa distanza da essa, ma non tanto che io non potessi capire che quel luogo era occupato da spiriti onorevoli. «O tu che fai onore alla scienza e all'arte, chi sono costoro che hanno tanta considerazione da avere una condizione diversa dalle altre anime?» E Virgilio mi rispose: «La fama eccellente che nel mondo terreno ancora sopravvive di loro, acquista loro una grazia in Cielo che li distingue dagli altri spiriti». Intanto io udii una voce: «Rendete onore all'altissimo poeta: la sua anima, che se n'era andata, ritorna». Dopo che la voce cessò e si acquietò, vidi quattro grandi anime venirci incontro: non avevano aspetto triste, né lieto. Il buon maestro cominciò a dire: «Osserva colui che ha quella spada in mano, che precede gli altri come il loro signore: quello è Omero, il più grande di tutti i poeti; l'altro che lo segue è Orazio, autore delle Satire; il terzo è Ovidio e l'ultimo è Lucano. Poiché ognuno di essi ha in comune con me il nome che pronunciò quella sola voce (il nome di poeta), mi rendono onore e in questo fanno bene». Così vidi radunarsi la bella scuola poetica di quel signore che scrisse altissimi versi, che vola sopra gli altri come un'aquila. Dopo che ebbero parlato un poco tra loro, si rivolsero a me facendomi cenni di saluto e il mio maestro sorrise di questo; e mi resero un onore ancora maggiore, poiché mi accolsero nella loro schiera, così che fui il sesto membro di quel gruppo così assennato. In questo modo procedemmo fino alla luce, dicendo cose che è bello tacere, proprio come era bello parlarne in quel luogo. Giungemmo ai piedi di un nobile castello, circondato da sette ordini di mura e protetto intorno da un bel fiumicello.

Lo oltrepassammo come fosse di terra; entrai con questi saggi attraverso sette porte e giungemmo in un prato di fresca erba verde. Vi erano delle anime con sguardi tranquilli e austeri, dall'aspetto molto autorevole: parlavano poco, con voci dolci. Ci portammo in un angolo, in un punto aperto, luminoso e posto in alto, così che li potessimo vedere tutti quanti. Lì di fronte, sopra l'erba verde come smalto, mi furono mostrati gli «spiriti magni» (le grandi anime), e in me stesso mi esalto di averli visti. Io vidi Elettra con molti compagni, tra cui riconobbi Ettore ed Enea, Cesare armato con gli occhi minacciosi. Vidi Camilla e Pentesilea; dalla parte opposta vidi il re Latino, che sedeva con sua figlia Lavinia. Vidi Lucio Bruto che cacciò Tarquinio il Superbo, Lucrezia, Giulia, Marzia e Cornelia; e tutto solo, in un angolo, vidi il Saladino. Dopo aver alzato un poco più lo sguardo, vidi il maestro di tutti i sapienti (Aristotele) che sedeva in mezzo ad altri filosofi. Tutti lo ammirano, tutti gli rendono onore: qui io vidi Socrate e Platone, che gli stanno più vicini degli altri; (vidi) Democrito, che dice che il mondo è governato dal caso, Diogene, Anassagora e Talete, Empedocle, Eraclito e Zenone; e vidi il saggio che descrisse le qualità delle piante, ovvero Dioscoride; e vidi Orfeo, Cicerone, Lino e il filosofo Seneca; (vidi) Euclide, fondatore della geometria, e Tolomeo, Ippocrate, Avicenna e Galeno, e Averroè che scrisse il grande commento (ad Aristotele). Io non posso parlare dettagliatamente di tutti, poiché la vastità della materia mi incalza a tal punto che, spesso, devo omettere dei particolari. Il gruppo di sei poeti si divide in due: il saggio maestro mi conduce per un'altra strada, fuori dell'aria quieta e in quella che è burrascosa. E giungo in una parte dove non c'è nulla che sia illuminato.