Download Il novecento pedagogico and more Lecture notes Psychomotor education in PDF only on Docsity!
G. Chiosso - Il novecento pedagogico.
Cap 1 - MODERNITA’, SCIENZA E PEDAGOGIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO.
- L’affermarsi della civiltà moderna. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, in europa, vi fu un processo di cambiamento e di modernizzazione che scalzò il pensiero romantico e spiritualista per far posto al pensiero positivista di progresso in funzione della razionalità scientifica. Già i termini positivismo,scienza positiva, positivista circolarono in seguito alla pubblicazione del filosofo sociologo Auguste Comte: COURS DE PHILOSOPHIE POSITIVE. Questo studioso affermava che lo stadio positivo dell’umanità era strettamente legato all’empirismo ed alla verifica scientifica. Da questo momento storico si parlerà di cultura e civiltà moderna. La modernità fondata sul progresso, sulla civiltà industriale, sulla visione laica della vita, sul valore della scienza si contrapponeva alla consuetudine ed al rispetto delle tradizioni, elementi ritrovabili nella fede religiosa e nei ritmi di vita della società rurale. La convinzione di aver trovato la chiave che poteva aprire le porte della conoscenza portò l’ottimismo ad essere un carattere proprio della civiltà moderna. Comte formulò la legge dei tre stadi secondo la quale l’umanità come per la psiche umana passa per tre stadi: teologico, metafisico e positivo. Mentre nel teologico la spiegazione degli eventi umani, naturali e sociali era legata all’intervento di agenti soprannaturali, nello stadio metafisico legato a forze astratte, nello stadio positivo l’uomo smette di chiedersi il perché dell’evento concentrandosi sul suo effetto scoprendo le leggi che lo regolano e che nella ripetizione si somigliano.(Cosa lo descrive). L’applicazione del metodo razionale e dell’analisi dell’evento (“Fatto”) fu esteso ai fenomeni naturali e sociali. Modernità e scienza divennero categorie intrecciate tra loro in modo simbiotico in quanto la scienza doveva trovare il modo per superare le difficoltà oggettive per permettere il progresso della modernità e quest’ultima doveva promuovere una sempre più ampia applicazione della razionalità scientifica. La modernità portò in Europa un miglioramento nelle condizioni di vita aumentando, grazie allo sviluppo industriale, benessere, qualità e quantità di beni alimentari e di prima necessità. La medicina e l’igiene progredirono in forme positive di miglioramento come anche la scuola, inizialmente prerogativa dei ceti benestanti, aperta anche a classi sociali di minor peso sociale. Mondo cattolico e marxismo erano in posizioni di opposizione rispetto alla modernità per motivi diversi colpevolizzandola di essere incapace di risolvere problemi di ingiustizia sociale ed essere espressione dell’interesse economico dei capitalisti.
- L’educazione come “Fatto naturale”. La cultura della modernità pose le basi per una ristrutturazione dell’educazione. Romanzieri e narratori (come il De Amicis o il Verga per quel che riguarda l’Italia) si fecero testimoni nelle loro opere di questo processo ponendo l’attenzione sulle vicende delle persone (alunni, maestri,precettori) rivolgendo l’attenzione sull’importanza dell’educazione. Educazione quindi non solo legata alle tendenze spiritualistiche che tenevano il campo fino ad allora ma in funzione di una applicazione razionale delle leggi sul piano biologico, psiclogico, sociologico ed etico. Queste scienze dovevano fornire alla pedagogia i dati su cui costruirsi e poter quindi parlare di scienze dell’educazione.
Quindi la pedagogia doveva accettare di considerare l’uomo non come poteva o doveva essere ma in base ad un insieme di elementi scientifici in relazione ad analisi biologiche e sociali. La modernizzazione pensava la pedagogia fondata sull’educazione come “fatto naturale” ed in base all’evoluzione degli stessi “fatti naturali” a livello umano e sociale. Due autori si fecero protagonisti di quest’epoca: Charles Darwin con la teoria dell’evoluzione della specie o evoluzionismo ed Herbert Spencer che estese l’impostazione evolutiva agli aspetti della vita naturale, biologica, psicologica, sociale, politica ed educativa. Con Darwin l’idea della vita nella storia dell’uomo passò da essere immutabile e preesistente ad essere risultato di una serie di eventi naturali inserendolo all’interno della natura non più come protagonista ma come un semplice tassello. Ne risulta che l’uomo è indagabile tanto quanto lo è la natura e non solo nei suoi aspetti biologici, fisici e psichici ma anche in tutte le sue manifestazioni, da quelle politiche a quelle religiose, a quelle economiche ecc. Spencer diede consistenza filosofica alla teoria dell’evoluzionismo. Secondo Spencer l’evoluzione si svolge attraverso forme meno coerenti a forme più coerenti. Il cammino dell’evoluzione è sostenuto da un modo di differenziazione ed uno di conservazione e riutilizzazione di esperienze. L’intelligenza umana si presenterebbe come un dato ereditario consolidato da un progressivo accumulo di esperienze. Ritrova quindi lo scopo dell’educazione nel perfezionare razionalmente i risultati e le esperienze raggiunte dalla specie umana. Il filosofo inglese, sulla base della sua formazione naturalistico-evoluzionistica poneva anche come importante l’educazione fisica in quanto l’uomo, principalmente essere organico sensibile, per avere successo nel mondo doveva essere un animale. Quindi educazione fisica accompagnata ad educazione intellettuale nel senso di educazione al metodo scientifico. In merito al metodo di educare, Spencer sottolineava la necessità che i processi formativi si centrassero sulle esperienze personali dell’educando e che quindi anche l’educazione morale non fosse frutto di norme comportamentali e di teorie fornite da autorità esterne (religione, politica, scuola) bensì portata dalla constatazione che quanto più l’agire umano fosse stato in funzione delle regole naturali e delle consuetudini sociali, tanto meno si sarebbero incontrate difficoltà. Quindi sperimentazione degli errori nei quali ritrovare la punizione anziché punizione per non incorrere in errori.
- Fisionomia e valori della società borghese. L’analisi sociale secondo Comte, ,Spencer. Secondo Comte la società è un risultato del percorso storico e si sviluppa in base alla legge dei tre stadi. Quindi è necessaria una idea-forza sovraindividuale che guida i processi di modernizzazione. Comte poneva la necessità di guida per evitare sbandamenti od incertezze. Spencer invece analizzando la società affermava che i cambiamenti sociali sono parte di un processo di evoluzione. Quindi la collaborazione di individui in grado di mediare i propri interessi dava modo di esprimere la capacità dell’uomo di autodeterminarsi. In Spencer prevaleva la convinzione che l’organismo sociale come quello fisiologico aveva la capacità di svilupparsi in modo ordinato. Entrambe le teorie avevano comunque un problema comune: abbattendo le vecchie idee e dissolvendo l’antico ordine che dava stabilità, il processo di modernizzazione non riusciva a creare una stabilità altrettanto solida.
Le regole sociali non puntano ad emancipare l’individuo quanto a modellarne la personalità e quindi Durkheim è più orientato sulla teoria di Comte rispetto ad idee sovraindividuiali che guidano la modernizzazione sociale rispetto alla teoria di Spencer che ne permette l’autodeterminazione. Il francese da importanza cruciale nella figura dello Stato in quanto garante del rispetto e della protezione dei principi fondativi che la società liberale esprimeva: rispetto della ragione, della scienza e del suo valore progressista, delle idee e dei sentimenti nazionali.
- La scuola nella società borghese. La rivoluzione scolastica nell’ottocento si fonda essenzialmente sulla base dei bisogni borghesi e sulle necessità derivate dalla modernizzazione. Mentre nel 1600 e 1700 lo stato si poneva in una posizione esterna alla gestione ed all’aspetto sociale della scuola (se pur vista con interesse) nel 1800 si verificò una mutazione importante. La scuola, nel diciassettesimo-diciottesimo secolo, veniva intesa come affare privato o delle comunità locali e chi la frequentava lo faceva a proprie spese (scuola privata). Lo stato interveniva solamente nelle scuole a carattere militare. Vi era una sola scuola per eccellenza, il collegio, che preparava i frequentanti più benestanti all’università oppure all’esercizio di professioni minori mentre tutte le altre forme scolastiche erano scollegate dal collegio.(Collegio=studi linguistici;Scuole di carità=lingua volgare, limitata alla capacità di leggere ed all’insegnamento del catechismo). A partire dall’ottocento gli stati agirono sempre più direttamente nelle riforme fino ad arrivare all’obbligo di istruzione. Da scuola privata si passò sempre più generalmente a scuola statale con un cambiamento della fisionomia stessa dell’istituto scolastico elementare, finalizzandosi alla preparazione sia di chi intendeva continuare gli studi, sia di chi intendeva frequentare per pochi anni. L’obbligo di istruzione era orientato secondo i criteri e le caratteristiche della modernizzazione. Le ragioni per cui vi fu questa generalizzazione della scuola ed il rilevante incremento della scuola secondaria furono molteplici ed essenzialmente giustificate nel periodo positivistico: il forte dinamismo della civiltà moderna, l’estendersi dei mercati de della cultura scritta, la modernizzazione degli stili di vita che in genere si ispirarono alle consuetudini borghesi, maggior peso politico della borghesia, necessità di trasmissione ed interiorizzazione dei valori che la borghesia esprimeva. L’interesse della borghesia si volse soprattutto verso la scuola secondaria, l’ambiente preparatorio per la classe dirigente. Si introdussero nelle scuole nuove discipline collegate ai cambiamenti culturali: ginnastica ed igiene.
- Pedagogia e Psicologia sperimentale: l’esperienza tedesca. Il nuovo modello di pedagogia ebbe influenze importanti dallo studio della psicologia sperimentale che si identificano, come punto di avvio, nell’esperienza tedesca. Il laboratorio di psicologia sperimentale di Wilhelm Wundt, fondato nel 1879 a Lipsia, coltivò interessi che concorsero in modo importante alla creazione della psicologia scientifica ed allo studio del funzionamento di alcuni aspetti della psiche umana. Fechner-Weber=legge matematica stimoli –sensazioni. Helmholtz=organi sensoriali non solo registratori ma anche elaboratori che codificano, interpretano, ordinano elaborano, valutano. Gli studi di Wundt furono centrati sullo studio dei dati delle esperienze e dei processi mentali attraverso cui vengono fatti propri. La scoperta del funzionamento della psiche umana diventa importante per l’educazione, assieme all’etica come base per la condotta umana.
Herbart=l’educazione doveva avere due saperi:psicologia ed etica.La prima per identificare quali processi mentali e come si verifica l’apprendimento, la seconda dava le norme di condotta morale e di comportamento nella società.
- Il movimento per lo studio del bambino: Granville Stanley Hall Granville Stanley Hall, uno psicologo americano, studiò nel laboratorio tedesco di Wundt dove ebbe la possibilità di apprendere i concetti di psicologia sperimentale. In America fondò un laboratorio analogo a Baltimora con la differenza però che i suoi interessi si orientarono sullo studio della psicologia del bambino. Introdusse quindi concetti tanto semplici quanto innovativi che ebbero ripercussioni in tutto il mondo: l’educazione avrebbe avuto tanta efficacia quanto si fosse meglio conosciuto il funzionamento della psiche infantile. I suoi metodi furono per quel tempo d’avanguardia, usando questionari, temi specifici, ricordi di adulti, esperienze di bambini.(osservazione incrociata). Se pur possibile criticare i metodi ed alcune sue teorie come la teoria della ricapitolazione(nel corso dello sviluppo l’individuo ripercorre l’esperienza dell’evoluzione umana), il più grande apporto dello psicologo americano fu quello di aver aperto nuove vie per la conoscenza della mente infantile e di aver riportato in campo l’insegnamento di Rosseau secondo il quale l’educatore deve partire dalla conoscenza del fanciullo. Grazie a Granville Stanley Hall si istituì una nuova pedagogia ispirata al principio evoluzionistico: da un lato le ricerche sperimentali sulla psicologia dell’età evolutiva fornivano le basi per l’educazione, dall’altro, sulla base di criteri scientifici verificabili, l’educazione così introdotta formava l’individuo secondo leggi evolutive naturali, senza quindi forzare la natura stessa dell’uomo.
- La scala Metrica dell’intelligenza di Binet e Simon. Un altro psicologo americano di nome James MC Kenn Cattel introdusse l’uso di una tecnica entrata poi in uso corrente e cioè i test mentali. Inizialmente il suo scopo era quello di determinare quali dati si raccoglievano, in merito a vari aspetti della vita psico-fisica dell’uomo, che potessero essere standardizzati. Ma mentre nei fenomeni fisici e chimici la cosa era possibile, così non fu per gli aspetti psichici;si rese necessario somministrare i test mentali ad un vasto numero di elementi ricavando quindi un orientamento statistico di risultati. Sulla base dei risultati ottenuti si potevano formulare ipotesi relative a comportamenti educativi e cognitivi. Questi studi aprirono la strada alla loro applicazione nell’età evolutiva. Nel 1905 gli psicologi francesi Binet e Simon pubblicarono una serie di articoli con i quali spiegavano la loro “scala metrica di intelligenza” poi universalmente accettata. Binet e Simon somministrarono un determinato numero di prove di difficoltà crescente in ambienti scolastici, avvalendosi dei dati raccolti da studi analoghi somministrati ad adulti istruiti, ospedali , materne, diversamente abili sul paiano fisico e cognitivo. Ricavarono la loro scala metrica riuscendo a stabilire se il soggetto fosse conforme o meno alla sua età cronologica. Introdussero quindi il concetto di età mentale. Louis William Stern, nel 1912, mise a punto il quoziente d’intelligenza nato dal rapporto tra eta mentale e cronologica. Gli studi di Binet chiarirono le differenze tra intelligenza dell’adulto e del bambino: di ordine quantitativo(esperienze, numero di vocaboli) e qualitativo(nel bambino la comprensione è di tipo sensoriale e superficiale).
- Gli apporti della medicina e l’educazione degli anormali. I medici, in questo periodo ti profonde trasformazioni si fecero”scienziati” per assicurare alla medicina più credibilità e scienza, libera da pregiudizi metafisici ed incentrata su aspetti biologici- fisici-psichici.
Su un piano diverso si sviluppava l’infanzia dei ceti popolari o contadini, caratterizzata dal lavoro precoce, veloce adultizzazione, poco o nulla alfabetizzata e con un decoro ed immagine esteriore minima se non inesistente. Questo disordine era visto come motivo di instabilità sociale e la società borghese si sforzò di riportare i modelli di educazione familiare e scolastica anche alle diverse infanzie per omogenizzare i modi di vivere e sentire dei ragazzi provenienti da diversi ceti sociali. Negli ultimi decenni dell’ottocento, le premure e le attenzioni verso i fanciulli accrebbero notevolmente. E mentre l’idea di purezza che scaturiva nel descrivere i fanciulli si accompagnava all’idea intellettuale europea e nord americana (che celebrava la bontà della natura del bambino attivo, la convinzione di aver scoperto la chiave della buona educazione), Sigmund Freud scompagina un po tutto, scoprendo la natura “perversa” del bambino o meglio indicando come propriamente infantili tutte le inclinazioni alla perversione.
- Il positivismo in Italia tra dogmatismo e ricerca critica. Il Positivismo in Italia non manifestò aspetti di particolare originalità perché crebbe in funzione delle esperienze francesi, tedesche ed anglosassoni. Nel 1864, Filippo De Filippi, docente nell’Ateneo della città di Torino, tenne una lezione pubblica su “ l’uomo e la scimmia ” di Darwin e qualcuno segna, da quel momento, iniziata l’era del positivismo italiano. Tra il 1875 ed il 1890 si produsse, anche da noi, un orientamento verso la modernità attraverso un insieme di idee naturalistico/evoluzionistica. Tuttavia, alcuni aspetti propri dell’Italia rallentarono il progresso del positivismo, come per esempio la mancanza dello sviluppo industriale del retroterra ed il prevalere di un positivismo dogmatico (cioè centrato sul definire l’uomo fenomeno della natura senza ricercare le dinamiche che lo caratterizzano). Norberto Bobbio scrisse nel suo Profilo ideologico del Novecento italiano che in Italia ci fu più positivismo che positività nel senso che lo sforzo era più quello di far trionfare un idea piuttosto che trovare un metodo scientifico critico e questa osservazione si può applicare anche all’analisi dell’educazione italiana. Nella Pedagogia Italiana gli apporti più significativi furono quelli di Roberto Ardigò, de Francesco Saverio De Dominicis. Ardigò analizzò il problema etico e della morale definendole pertanto, come unico criterio, la socevolezza e quindi la regola pedagogica fondamentale dell’Ardigò: l’educazione è formazione di abitudini utili a se ed alla società. Questo per essere quindi accolti nella società, dopo che formati, rispettando e mantenendo un buon livello d’ordine. Secondo il filosofo italiano lo stato doveva rendersi impegnato in campo educativo promovendo la diffusione delle “abitudini positive” ed eliminando qualsiasi forma di insegnamento religioso perché legato a vecchie mentalità metafisiche. Il De Dominicis affermava che la pedagogia e la didattica dovevano dipendere dall’adeguamento delle leggi scientifiche della biologia e della sociologia, insegnando ed educando in funzione dei requisiti oggettivi (struttura delle materie, età evolutiva degli allievi, sequenza graduata di esercizi,ecc). Accanto a questo naturalismo Dogmatico si verifico anche un’altra linea di pensiero e di sviluppo del positivismo italiano che considerava la scienza più come strumento empirico piuttosto che come ideologia dogmatica. La scienza non come garanzia di certezza ma come procedimento conoscitivo, come controllo delle procedure. Secondo questa linea di pensiero, Aristide Gabelli scriveva che “il buon metodo è basato sull’osservazione e sull’esperienza.
Del Gabelli rimarrà l’importanza che lui attribuiva al metodo ed alla capacità della scuola di formare teste, cioè persone in grado di vivere a proprio giudizio ed analisi e metodo inteso come insieme di strategie per far maturare negli allievi una personalità solida e consapevole.
Cap 2 - IL MOVIMENTO PER L’EDUCAZIONE NUOVA.
- I caratteri dell’educazione nuova. La prima parte del novecento è caratterizzata dal passaggio da una vecchia concezione di pedagogia, centrata sull’insegnante, il metodo e la disciplina, ad una concezione di educazione nuova che poneva il suo centro sul fanciullo. L’infanzia, nella vecchia concezione, non aveva un valore condiviso e quindi l’educatore doveva assicurare un processo di adultizzazione rapido ed efficace. Ora, i fautori della nuova educazione, ispirati ad autori del passato come Rosseau e Pestolazzi, determinavano come fondamentale permettere al fanciullo di svilupparsi e maturare secondo i suoi ritmi biologici-fisici e psichici assieme ai suoi bisogni specifici. Cambia quindi il ruolo dell’educatore, ora attento al far superare all’educando le difficoltà che potevano ostacolare il vivere a pieno l’età infantile e quindi promuovere le esperienza che lo avrebbero reso vero fanciullo anzichè vero uomo. La pedagogia dell’educazione nuova si costruì in base a quattro elementi. Il primo fu la rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo e quindi educare significava promuovere la crecita intellettuale, fisica, psichica, affettiva, sessuale, appellandosi alle risorse e rispondendo ai bisogni del bambino, rispettandone l’intrinseca natura ed i suoi ritmi di sviluppo. Il secondo fattore si ritrova nell’attenzione portata agli interessi-bisogni del fanciullo ed alla costruzione di un metodo fondato su progetti individualizzati. Un'altra caratteristica dell’educazione nuova fu il rapporto tra scuola e vita: la scuola doveva adeguarsi e cambiare non dimostrandosi più come luogo “astratto” dove venivano insegnati concetti teorici slegati per lo più dal vivere quotidiano, ma diventare più strumento per formare ispirandosi alla vita comunitaria sociale. La quarta caratteristica fu infine di considerare l’intelligenza non solo sul piano teorico ma anche sul piano pratico inserendo nelle scuole attività manuali ponendo alla pari cultura scientifica e cultura umanistica.
- Le prime esperienze: il rinnovamento dell’educazione collegiale. Il passaggio all’educazione nuova richiese tempo ed apporti di numerose personalità come Dewey, Claperède, Montessori, Decroly. Un passaggio che vide le basi solide formatesi solo nel 1920. La nuova realtà educativa deve il suo essere alle prime esperienze contemporanee inglesi, tedesche e francesi. L’organizzazione scolastica inglese, per lo più di iniziativa privata, si prestava meglio che in altri stati alle innovazioni che sarebbero state portate dagli studi pedagogici, psicologici e sociologici del tempo. Fu quindi negli istituti collegiali inglesi che si videro i primi cambiamenti in direzione della nuova educazione. l primo, promosso da Cecil Reddie, formatosi in Germania sulla pedagogia herbartiana, applicò al suo collegio, regole di vida sociale e di autogoverno democratico senza mettere in discussione i principi cardine collegiali, basati sull’ordine e disciplina. Reddie nel suo collegio fondato nel 1889 in Inghilterra, impostò un sistema sulla base di quello statale con governo(direttore ed insegnanti), popolo(allievi), prefetti o capitani(i migliori allievi), e per tutte le altre incombenze ciascuno era responsabilizzato a rispondere ad un determinato servizio.
Nel 1906 Gustav Wyneken con l’aiuto dei Wanderwogel di Karl Fisher creò una libera comunità educativa che puo essere definita come base ai successivi movimenti giovanili. Il fine era quello di un educazione alla libertà contro ogni forma di coercizione, libertà concepita come autonomia personale. I giovani borghesi iniziarono a sperimentare altre forme educative come quelle sportive. In questo clima prese vita l’esperienza dello scoutismo nel 1907 attraverso il suo promotore Robert Baden-Powell. Lo scoutismo è un’esperienza educativa, durante il tempo libero, dove coincidono forte senso dell’onore, spirito di gruppo,del dovere, dell’esplorazione e del gioco. L’esplorazione e la scoperta si devono però fondare sulla Legge Scout che si centra su tre principali assi educativi: 1: necessità di ordine sociale, 2: l’aspirazione verso la giustizia e, nei gruppi cattolici, verso la carità, 3: l’impegno alla coerenza personale. In Italia la prima associazione scoutistica è stata fondata nel 1910 da Mario Mazza.
- Dalle scuole nuove alla pedagogia dell’attivismo. Il primo ventennio dell’educazione nuova fu caratterizzato non solo dal moltiplicarsi delle iniziativa pratice, ma anche dalla ricerca delle basi teoriche sulle quali fondare la nuova concezione puerocentrica. Iniziò così il passaggio da scuole nuove a scuole attive della pedagogia dell’attivismo e da una pedagogia a base filosofica ed empirica alle scienze dell’educazione integrando gli apporti della psicologia e della sociologia.
- Funzionalismo ed esperienza in John Dewey Nel confronto con i concetti di Durkheim si puo osservare che mentre nel sociologo francese la preoccupazione era quella di mantenere unita una società con un nucleo organico di valori e le tradizioni in un momento di profondo cambiamento, nel pedagogista filosofo statunitense Dewey si manifestò una maggior flessibilità, consapevole di avere a che fare con una società molto più eterogenea di quella europea. La concezione del rapporto tra individuo e società è per il Dewey legata alla concezione di esperienza. L’esperienza non era ne empiristica ne legata a cose necessarie ma, in forma evolutiva, è sia la realtà considerata nel suo dinamismo sia la sperimentazione di essa. All’idea di esperienza è strettamente legata quella di natura: essa è una continua emergenza di forme nuove che deriva dall’iterazione uomo – ambiente. L’uomo cerca di piegare l’ambiente ai suoi fini e l’ambiente trasforma l’uomo in un processo continuo ed iterattivo. Secondo il Dewey c’è continuità tra contesto biologico, sociale e culturale; una continuità di tipo adattivo-costruttiva ed i processi di adattamento si svolgono in continua opera di costruzione personale. L’educazione si presenta come adattamento alle forme di vita, ai costumi ed agli ideali della società a cui appartiene e come sviluppo costruttivo della personalità dell’educando che opera per trasformare la realtà che lo circonda. Il fine dell’educazione è assicurare la stabilità sociale e promuovere tutte le capacità dell’educando. La società è per gli individui come gli individui sono per la società.
- Pensare ed apprendere: le cinque fasi del pensiero riflessivo. Nell’educazione coesistono un fine sociale ed un fine individuale. Dewey prospetta cinque fasi del pensiero riflessivo che costituiscono la trama per il metodo dell’apprendimento per problemi. Sulla base di un problema/disagio l’osservazione è il primo strumento didattico, il secondo è l’intelletualizzazione del problema, il terzo è formulare un ipotesi, il quarto passaggio è verificare teoricamente l’ipotesi precedentemente pensata e da ultimo è verificare nella pratica il risultato dell’ipotesi.
Pensare, educare a pensare ed apprendere sono per Dewey aspetti diversi di uno stesso processo attivo con cui un individuo stabilisce i rapporti iterattivi con la realtà al fine di modificarla. La sua scuola attiva è centrata sul concetto che non esiste una verità costante ma che va continuamente verificata.
- Democrazia, educazione e scuola. La società democratica è quella che meglio si presta al pieno sviluppo dell’uomo perché, secondo Dewey, favorisce la liberazione di una maggiore varietà di capacità personali ed aumenta l’area degli interessi condivisi. La società democratica è un tipo di vita comunitaria aperta alla partecipazione attiva agli stessi scopi, interessi valori, disponibile a trasformarsi ed a rinnovare continuamente le proprie abitudini. Perché questo accada è necessario che la democrazia sia sostenuta dall’educazione. L’educazione fa convergere l’individuo nella società in modo da garantire la continuità della vita sociale ed assicura che le aspettative, gli interessi e gli impulti siano orientati in modo costruttivo. E’ un processo però non statico perche la democrazia esige da un lato la partecipazione delle persone verso un bene comune e la continua verifica dei valori che la regolano e dall’altro consente ad ogni singolo individuo di dare il meglio di se stesso nella società. Se la società democratica è frutto dell’intelligenza degli uomini, l’educazione dell’intelligenza è ovviamente elemento necessario per la costituzione di una democrazia. Seguendo questo ragionamento anche la scuola non deve formare gli alunni secondo norme conformistiche o modelli standardizzati, ma deve basarsi sugli interessi ed attività degli alunni. L’educazione è attiva o passiva se è in grado o meno di promuovere le risorse di un individuo, di inserirlo in modo non conformistico nella società, di renderlo protagonista consapevole delle sue scelte e di quelle della comunità.
- Il cenacolo Ginevrino e la psico-pedagogia di E. Claparède. Un altro fondamentale polo di elaborazione dell’attivismo pedagogico furono gli ambienti psico- pedagogici di Ginevra ed in particolare l’istituto Jean Jacques Rousseau, fondato nel 1912. Edouard Claparède, di formazione medica, ebbe forti interessi psicologici ed educativi e nell’istituto Rousseau inizio i suoi studi. Inizialmente si occupò di fanciulli diversamente abili ed aprì un seminario di psicologia pedagogica rivolto agli insegnanti. Per sottolineare la centralità del fanciullo il motto scelto per l’istituto fu “Il maestro vada a scuola dal fanciullo. Fondatore ed animatore dell’istituto, Claparède era convinto che l’efficacia dell’azione educativa dipendesse dalla preparazione psicologica del maestro e della loro capacità di essere scienziati del’educazione (osservare, sperimentare innovare continuamente la loro attività professionale). La pedagogia doveva quindi avere come base la psicologia del fanciullo. Secondo Claparède l’intelligenza è la capacità di risolvere con il pensiero nuovi problemi, strumento finalizzato all’adattamento dell’individuo quando istinto ed abitudine non sono più sufficienti. Quindi l’intelligenza nasce da una situazione di squilibrio. Il bisogno è la risposta allo stato di squilibrio e la risposta al bisogno è data oltre che dall’istinto e l’abitudine, dall’intelligenza razionale. Il medico francese enuncia uan prima legge o legge del bisogno : ogni bisogno provoca reazioni atte a soddisfarlo. Lo sviluppo della vita mentale è legato quindi allo scarto tra bisogno e mezzi per soddisfarlo. Se la legge del bisogno appartiene alla sfera biologica dell’individuo, nella sfera psicologica parliamo di legge dell’interesse: l’interesse, inteso come relazione tra bisogno ed oggetto, è alla base dei nostri comportamenti. In una situazione nuova, infine, quando non è possibile associare o pensare ad un simile di una situazione si parla di legge del brancolamento cioè reazioni per trovare nuovi interessi e bisogni.
come), espressione (manifestare il proprio pensiero agli altri non soltanto a parole ma anche attraverso il non verbale o artistico). La funzione di globalizzazione di Decroly è da lui spiegata secondo la teoria che una persona nel percepire una sensazione o acquisire una conoscenza non sente una serie di elementi combinati ma percepisce un “tutto” (struttura indifferenziata) e solo dopo questa prima conoscenza globalizzante è possibile analizzare e fare sintesi.
- L’educazione nuova in Italia e Maria Montessori. Tutte le espressioni più significative della cultura italiana hanno carattere antipositivistico sia in campo artistico, letterario, filosofico. Gli anti-positivisti ebbero in Giovanni Gentile la loro figura più carismatica e furono soprattutto preoccupati di salvaguardare la dimensione spirituale dell’uomo che le scienze umane rischiavano di dimenticare o annullare. Così, mentre in America Dewey pubblicava il saggio “Come pensiamo” 1910, Gentile pubblicava in Italia il “Sommario di pedagogia” 1913 che muoveva in tutt’altra direzione, condannando alla non diffusione la psico-pedagogia sperimentale. Nonostante i limiti ed i condizionamenti, anche in Italia si sviluppò una nuova sensibilità verso l’infanzia e la necessità di tenere in maggior considerazione le esperienze evolutive, gli interessi ed i bisogni. L’aspetto diverso dalle esperienze europee ed americane in Italia è dato dal fatto che la rivendicazione dei diritti dell’infanzia non è stata condotta da psicologi e pedagogisti, ma da figure esterne al mondo degli educatori e della scuola. All’interno di queste dinamiche, Maria Montessori aprì in un popolare quartiere romano, nel 1907, la prima “casa dei bambini”. La pedagogia, secondo la Montessori, doveva essere scientifica nel senso di rispettare le leggi evolutive del fanciullo liberandosi da giudizi metafisici e dal peso delle tradizioni, ma liberandosi anche dagli eccessi di quel positivismo che pretendeva, esercitando un’educazione “catena di montaggio”, di assicurare “buone abitudini”. Occorreva quindi promuovere l’autoeducazione nei bambini e l’educatore non doveva impartire nozioni, dare ordini e piegare l’animo infantile alla volontà degli adulti ma creare un ambiente adatto al suo bisogno di agire, giocare, assimilare spontaneamente ed a “misura di bambino”. Quindi grande importanza all’ambiente, ai materiali, e ad una impercettibile ma sostanziale disciplina ordinata.
- Il materiale Montessoriano. Il materiale montessoriano fu inizialmente sperimentato sui bambini diversamente abili e successivamente sui bambini normodotati. Il materiale doveva soddisfare sia il bisogno di manipolazione che il graduale sviluppo dei sensi e dell’intelligenza del bambino. Con materiali in grado di sviluppare capacità sensoriali e materiali per le funzioni logiche, lo scopo era quello, oltre che di sviluppare i sensi, di sviluppare l’intelligenza, acquisire l’abitudine all’ordine e alla chiarezza. La Montessori individuò quattro qualità fondamentali dei materiali: il “controllo dell’errorer” (incastri), l’attraenza (lucentezza, colore”, dimensioni adatti, materiale limitato in quantità. Le critiche verso questa pedagogia furono molteplici. Citando il Dewey, si lamentava che la Montessori sottovalutava il materiale rudimentale di cui si serviva il bambino spontaneamente predisponendo invece materiale legato a distinzioni intellettuali fatte dagli adulti, ritenendo che la mente infantile assorbisse l’intelligenza impiegata nel predisporre e considerare il materiale. Claparède lamentava che gli oggetti didattici, fissati in modo preordinato, sarebbero stati applicati in modo dogmatico portando il limite di essere stati creati per i bambini diversamente abili che hanno continua necessità di stimoli a differenza dei bambini normodotati. Inoltre gli esercizi della
Montessori erano compiuti per se stessi senza essere associati a soluzioni di problemi di vita pratica. Anche Decroly criticò la Montessori su quest’ultimo punto contrapponendo il metodo analitico al metodo globale Decrolyano.
- La teoria della mente assorbente. Cercando di rinnovarsi la Montessori si propose, negli anni ’30 ’40, di attenuare certe rigidità psicologiche implicite nel suo metodo, prospettando la teoria della “mente assorbente”. La Montessori, sulla linea della funzione di globalizzazione del Decroly, affermava che non si assorbe un suono per suono, oggetto per oggetto ma iniziamo con l’assorbire una totalità, distinguendo successivamente oggetto per oggetto e suono per suono come evoluzione del primo assorbimento globale. Al fenomeno della mente assorbente la Montessori associa un profondo concetto di libertà dell’infanzia che prospettò con l’immagine del “bambino esploratore”.
- Gli attivisti della seconda generazione. Con gli anni ’30 entrarono in scena gli attivisti della seconda generazione. L’interesse era quello di tradurre le teorie puerocentriche nello sforzo di immettere nella scuola quegli elementi di novità che fino ad allora furono applicati per lo più in ambienti élitari. Nei vari paesi Americani ed Europei, gli attivisti della seconda generazione avevano ovviamente come riferimenti i propri studiosi da cui partirono le prime iniziative e cioè il Dewey in America, il Claparède in Svizzera, il Decroly in Belgio, Binet e Durkheim in Francia. Le varie iniziative di questi attivisti, anche se svolte in situazioni diverse, ebbero in comune l’obiettivo di attuare metodi di insegnamento e stili di vita scolastica rispettosi dei tempi e modi di sviluppo del bambino ed orientati a promuovere l’individualizzazione (solo così si sarebbe potuto arrivare alla “scuola su misura”), il lavoro cooperativo in piccoli gruppi (processi di socializzazione e collaborazione), impostando l’apprendimento come ricerca. In questa impostazione dell’apprendimento come ricerca è esemplare il metodo proposto da Kilpatrick che esaltava l’attività progettuale e di ricerca personale e di gruppo individuando obiettivi iniziali, intermedi e finali organizzando in modo conseguente le fasi dell’apprendimento. All’istituto J.J.Rousseau studiò e sviluppò la sua ricerca psicologica Jean Piaget che, raccolta l’eredità di Claparède, sviluppò più approfonditamente lo studio sulla natura dell’intelligenza non tanto in qualità o quantità delle prestazioni intellettuali ma sull’ordine di funzionamento. Piaget diede consistenza sperimentale all’affermazione secondo la quale il bambino ha modi di pensare, di agire, di fare e di parlare diversi dall’adulto, derivata dalla teoria cognitivista secondo la quale le strutture mentali erano l’esito di una costruzione graduale dell’intelligenza.
- Attivismo e pedagogia laica in Italia nel secondo dopoguerra. Nelle ragioni per cui l’attivismo non influenzo in modo importante l’Italia, non si deve sottovalutare il regime fascista degli anni ’20 ’30 che puntava più all’uniformità piuttosto che all’individualizzazione dei processi formativi e si sforzava di inquadrare bambini, adolescenti e giovani entro schemi nazionalisti ed autoritari.
Non mancavano comunque i contatti con le esperienze attivistiche europee. Un forte rilancio dell’attivismo si è verificato nel dopoguerra ed in particolare grazie a Carleton Wasbhurne, americano, che animò iniziative sull’aggiornamento degli insegnanti e dando vita alla sezione italiana dell’Associazione per l’educazione nuova a Roma, Milano, Firenze, Torino, Genova. A Firenze, nel 1945 costituì il maggior centro di divulgazione della pedagogia statunitense (in particolare Dewey).
Gli autori che “sposarono” questa diversa teoria considerarono la pedagogia non come scienza dell’educazione nella quale operano psicologia, sociologia e metodi didattici, ma come filosofia applicata in grado di fornire gli strumenti per superare il naturalismo, riflettendo sugli ideali formativi, formando il carattere e l’autodominio, per la promozione dell’etica personale e collettiva.
- Etica e formazione del carattere in F.W.Forester Forester, formatosi in clima kantiano in Germania, si interessò della promozione dell’etica personale. Il suo interesse per i problemi morali fu in centro della sua riflessione e gradualmente si avvicinò ai valori religiosi espressi dal Cristianesimo. Il suo punto di partenza era quello di rifiutare di ridurre l’esistenza umana come semplice processo naturale perché le azioni oltre che da ordini di tipo fisico sono regolate da ordini di tipo morale e razionale oltre che di libera applicazione attraverso l’autodominio di se. L’individuo, secondo lo scrittore, si identifica e si qualifica attraverso il carattere ed è il carattere che da la forza alle sue decisioni. Dalla maturità del carattere si misura la maturità dell’uomo ed assicura l’ordine interiore, la coerenza, l’autonomia, la fermezza e fedeltà. Le strategie educative secondo cui Forester intendeva raggiungere “l’uomo di carattere” riguardano “l’obbedienza volontaria” ossia il libero incontro tra l’autorità dell’educatore e la libertà dell’educando nella graduale costruzione del principio di responsabilità personale.
- Sergei Hessen: la pedagogia come teoria della cultura. Sergei Hessen, nato in Siberia, fu espressione di quella concezione etica dell’esistenza umana secondo la tradizione neo-kantiana. La sua ricerca si svolse in due direzioni, la prima nel tentativo di approfondire i rapporti tra educazione, pedagogia, filosofia e cultura e la seconda cercando di indagare quali fossero i caratteri della scuola democratica intesa oltre che strumento di alfabetizzazione, strumento di promozione delle capacità di ciascuno. Secondo Hessen si confrontano due tipi di educazione: una negativa che lascia scorrere “l’essere” ed una positiva che promuove il “dover essere”. L’educazione negativa pone l’alunno a fare le cose da se nella teoria che per processo naturale la sua libertà è da difendere. Nell’educazione attiva invece la sola libertà autentica è quella sperimentabile nella volontaria subordinazione alla legge. Il compito della pedagogia è identificato nella chiarificazione concettuale dell’intreccio tra fini ideali, mondo della cultura e crescita personale e quindi da un lato teoria della cultura e dall’altro scienza normativa (libera condivisione di ideali e valori). La scansione delle tappe evolutive dell’uomo non è data dalla psicologia ma è un esperienza più complessa. Hessen distingue tre momenti: l’anomia (gioco, immaginazione, assenza di legge), eteromia (passaggio da affetti familiari a mondo della comunità, autonomia (compimento dello sviluppo dell’uomo). Hessen, come il Dewey, è dell’idea che la scuola è promotrice di progresso sociale e per questo prospettò l’ipotesi di una scuola senza privilegio sociale ma aperta a tutti in tutti i suoi gradi di cultura sostituendo la vecchia formula della scuola popolare che esigeva il minimo di cultura per tutti. Un massimo di cultura per tutti=scuola unica. Scuola unica per richiamare il diritto di ciascun individuo all’istruzione.
- Georg Kerschensteiner e la scuola del lavoro. Georg Kerschensteiner promosse una riforma scolastica ispirata al principio della scuola del lavoro, espressione che si tramuterà in “suola attiva”. Kerschsteiner si propose di promuovere una scuola che si preoccupasse sia delle esigenze degli allievi che di formare un buon cittadino che si inserire nella società in modo attivo e con alto senso civico e pensò di trovare la soluzione nel valorizzare l’educatività del lavoro. Lavoro quindi come
capacità creativa personale nella quale si sviluppano doti anche richieste dalla società umana (professionalità, riflessione, precisione, autocontrollo, spirito di collaborazione. Quindi tutte le attività pratiche potevano arrivare a fini educativi sia nel lavoro adulti, che nel lavoro gioco che al lavoro didattico.
- La reazione anti-positivistica nell’idealismo di Giovanni Gentile. Giovanni Gentile, negli anni ’20 e ’30 fu, assieme a Benedetto Croce, uno degli esponenti più rilevanti dell’anti-positivismo in Italia e ne condizionò in modo rilevante la cultura filosofica, artistica, pedagogia e letteraria. Gentile, contrario a ridurre l’esperienza umana solo come fatto psicologico e sociologico, riaffermò la centralità dell’uomo che pensa ed attraverso il pensare scopre il valore della propria umanità. Quindi in risposta ad un educazione scientifica fu opposta l’educazione dello spirito con l’invito”conosci te stesso”. La comprensione dell’esperienza umana poteva essere possibile solo attraverso la riflessione filosofica e non solo psicologica e sociologica.
- La riforma dell’educazione nel sistema gentiliano. Gentile voleva riformare l’educazione non soltanto operando sul piano dell’organizzazione degli studi ma promuovere la riforma morale degli italiani attraverso la religione dello spirito. A livello teorico la riflessione educativa gentiliana corre di pari passo con la sua filosofia secondo la quale una pedagogia senza riflessione filosofica non può esistere. L’educazione è vista quindi come “farsi dello spirito”. La libertà dell’individuo secondo Gentile non era intesa in termini individualistici e razionali perché si farebbe un astrazione e si ridurrebbe l’uomo ad un dato. Era da inserire in questo concetto lo spirito e cioè ciò che consente all’umanità di percepirsi come tale. L’uomo è sintesi di individuale e di universale, espressione dello spirito che permette l’essere ed il dover essere, il superarsi.
- L’identità di maestro e scolaro. Gentile nega la dualità di educatore ed educando. La dualità sparisce dal momento in cui l’educando fa proprie le parole e gli insegnamenti dell’educatore e quest’ultimo si fa carico delle aspettative dell’educando. Non ha senso quindi contrapporre educazione negativa ed educazione positiva perché nella concezione gentiliana l’educazione è unica perché unica è la persona umana ed unico è il suo spirito.
- La didattica come teoria della scuola. La didattica rappresenta un aspetto importante nella riflessione di Gentile tanto da renderla teoria della scuola. Nel trattare la didattica, il filosofo siciliano, percorre due strade, una critica e l’altra propositiva. La critica era rivolta ad una teoria della scuola secondo la quale s’istituisce la scuola in quanto c’è qualcosa da imparare (le varie materie) definendo anticipatamente gli elementi da studiare e quindi da sapere. Secondo Gentile questa concezione banalizzava il sapere ed il filosofo rispondeva con la tesi dell’unità del sapere come processo infinito, ovvero il sapere è la capacità di un continuo conoscere ed apprendere inteso come relazione interna con l’uomo e non solo come accumulo di nozioni. Il compito della scuola gentiliana era dunque quello di promuovere il sapere più che di trasmetterlo, di favorire l’interesse culturale più che aumentare le nozioni, di liberare l’intelligenza creativa e critica invece di limitarla all’interno di regole prestabilite
- La riforma scolastica del 1923 A Gentile toccò, come ministro dell’istruzione nel 1923, attuare la riforma scolastica.
idee riguardo al fine, il pragmatismo, il sociologismo, l’intellettualismo, il volontarismo, ogni cosa puo essere insegnata. La seconda parte è indirizzata nell’indicare il programma dell’educazione liberale ed individua quattro principi pedagogici: il compito del maestro è di liberare le buone energie per reprimere quelle cattive, centrare l’attenzione sull’interiorizzazione dell’influenza educativa, la tendenza dell’educatore a unificare e non a disperdere (mani e mente devono lavorare insieme), l’insegnamento deve liberare l’intelligenza e non appesantirla (attiva comprensione personale, dominio della ragione sui dati appresi).
- Il marxismo, l’educazione pedagogica. Nel sistema marxista l’educazione non è scollegata alla realtà ed ai processi socio-economici e la pedagogia è di conseguenza non è separata dal contesto sociale e produttivo. Secondo Marx ed Engels la vera essenza della storia degli individui consiste nella loro attività produttiva: la struttura economica è dunque onnipotente da poter condizionare l’insieme delle convinzioni, delle teorie filosofiche, della morale, della religione e di ogni altra forma ideale perché queste sono prive di storia e mutano con il variare della struttura economica. L’ideale proviene dal materiale e le teorie sono il risultato di condizioni reali. Marx prospetta la ricomposizione della frattura tra uomo intellettuale e uomo lavoratore pensando ad un uomo onnitalterale anzichè unilaterale. In questo contesto Marx prospettò “l’istruzione ai delegati” del 1866-67, una riforma dell’istruzione fondata su uno stretto rapporto tra scuola e lavoro (scuola politecnica o tecnologica) una scuola capace di riunire conoscenze operative ed intellettuali. La proposta educativa e pedagogica del marxismo ha come caratteri essenziali il non concepire l’esistenza di pedagogia senza politica e quindi qualsiasi riforma scolastica deve considerare i rapporti tra sistema economico e sistema politico nella direzione di spezzare il modello dell’istruzione borghese. Marx assegnava alla classe proletaria il compito di lavorare per un modello educativo proprio. Volgeva al comunismo il sistema politico atto a garantire la riforma morale della società senza più discriminazioni.
- La pedagogia Marxista tra Marx e la rivoluzione russa. Nel 1936 furono condannati i metodi ispirati all’attivismo ed all’educazione intesa come sviluppo spontaneo e nel 1940 un rapporto al Presidium (organo politico dell’Unione Sovietica) individuò le seguenti caratteristiche dell”uomo nuovo”: massimo rendimento sul lavoro, senso patriottico, piena adesione all’ideologia marxista-leninista, spirito collettivistico, interesse per la protezione dei beni pubblici con il prevale quindi di un impostazione estremamente autoritaria.
- La pedagogia del collettivo di Anton Semionovic Makarenko. Anton Semionovic Makarenko fu una forte personalità della scuola e della pedagogia sovietica nella sua prima fase di sviluppo. Estremamente opposto alla concezione di educazione come sviluppo naturale, Makarenko ebbe come obiettivo quello di educare l’uomo nuovo in termini coerenti e funzionali con lo scenario del socialismo attraverso sistemi direttivi. Questa ideologia si inserisce a pennello con la tradizione pedagogica marxista con la novità di creare “l’uomo socialista” non solo nell’azione e nella militanza politica ma anche mediante l’educazione e la scuola. Unificò il modello socialista con una prassi educativa. Anche per Makarenko i fini educativi coincidevano con quelli politici ed il vero “uomo nuovo” era dunque il socialista sovietico militare. L’educazione politica dunque come fine della formazione umana attraverso la collettività. Il concetto di collettività di Makarenko è più che un semplice insieme di individui associati bensì un gruppo raccolto con fini comuni e per un lavoro comune, in una organizzazione comune che opera come organismo sociale con a capo una direzione unica.(speriamo che ad uno di quelli li non venga in mente di suicidarsi….sai che strage!!). Ogni collettivo è parte di una società e legata ad
altre collettività. Il collettivo è l’insieme dei valori espressi da ciascuno e nessuno va sacrificato ed il lavoro produttivo e lo sforzo nell’apprendimento si fondano sull’idea di far parte di un’esperienza più estesa rivolta ala “pedagogia delle prospettive”. La proposta di prospettive sempre più lontane costituisce l’anima del sistema educativo dell’ucraino e le prospettive per essere tali dovevano assumere significato politico e morale nel senso di “formazione del carattere”.
- L’educazione come egemonia in Antonio Gramsci Antonio Gramsci, di origini sarde, studiò nell’università di Torino, militante del partito socialista, si trovò a dover definire i rapporti tra educazione, pedagogia, politica in una realtà come quella italiana che dagli anni ’20 fu segnata dal movimento operaio e dalla disgregazione a causa della dittatura fascista. La sua analisi politico culturale fu segnata da un lato dalla diminuzione di peso politico della classe operaia e proletaria e dall’altro dalla necessità di mettere in pratica i teoremi marxistie leninisti. Al centro dell’analisi di Gramsci sta il concetto di egemonia secondo il quale assistiamo in un sistema politico ad una lotta tra egemonie e quindi per un progetto egemonico a favore della classe operaia era necessario che la stessa si mettesse in gioco nell’elaborare una cultura ed un insieme di ideali in grado di essere alternativi al dominio della borghesia. Il progetto egemonico è connesso al “blocco storico” e cioè un sistema di alleanze sociali che si costituisce dalla spinta della classe al potere strettamente forte quanto capace di sviluppare soluzioni per le classi subalterne. Il disegno culturale e pedagogico di Gramsci si fonda sulla convinzione che l’egemonia ed il blocco storico si costruiscono attraverso un azione educativa organica e sistematica che forma mentalità, cultura, forma un sistema di ideali, linguaggi e modelli di comportamento. Quindi l’educazione è un processo intenzionale e finalizzato. Per la costituzione dell’egemonia è centrale il principio di autorità: ogni generazione educa la nuova generazione e l’educazione è la lotta per formare l’uomo attuale nella sua epoca. La cultura a sua volta è la capacità di modificare la realtà ed adattarla per dominarla. La libertà non è spontaneità ma risulta legata al principio di responsabilità.
- Il ruolo degli intellettuali e i compiti della scuola unica. Gramsci individuò nella funzione degli intellettuali e nella scuola due elementi di fondamentale importanza. Non c’è organizzazione senza intellettuali ma prospetta intellettuali “organici” cioè capaci di non staccarsi dalle masse popolari e capaci di “sentire il popolo”. L’elemento popolare sente ma non sempre comprende mentre l’intellettuale comprende ma non sempre sente. L’altro polo per la costituzione dell’egemonia è rappresentato dalla scuola, una scuola capace di porre i giovani nelle condizioni di raggiungere quei gradi di cultura che ciascuno sarebbe stato in grado di raggiungere in base alle proprie capacità individuali. Da qui la proposta di una scuola iniziale unica che, per superare ogni possibile divisione di ceti e di classi sociali, fosse gestita dallo stato. Il principio della scuola unica però si opponeva alla precoce specializzazione degli studi voluta dalla riforma gentile nell’esigenza della formazione delle élites dirigenti.
- La pedagogia marxista e lo sviluppo scolastico. In Unione Sovietica si andò gradualmente affermando, dagli anni ’30, una pedagogia di Stato dogmatica e condizionata da teorie pedagogiche deterministe (esempio i meccanismi di condizionamento di Pavlov o la trasmissione ereditaria delle modificazioni prodotte dall’ambiente). Le teorie ed i tentativi di chi si sforzò di interpretare il marxismo in forme meno dogmatiche furono represse.